LA MIA AFRICA NELLE MANI DELL’AIDS
di Wangari Maathai, premio Nobel per la Pace 2004
La devastazione che l’Aids sta causando in un’Africa già di per sé afflitta da una povertà assoluta e da una situazione di abbandono ha ormai assunto proporzioni che non hanno uguali nel mondo. Siamo di fronte ad una minaccia silenziosa, ignorata e inesorabile alla pace e alla sicurezza del continente. Quando visito i tanti villaggi e vedo la gente che seppellisce i propri morti accanto a quelli che li hanno preceduti, il pensiero che milioni di persone possano morire di malattie legate all’infezione da Hiv/Aids mi addolora profondamente e fa temere non solo me, ma anche gli altri leader africani, per il futuro di queste popolazioni. Tra non molto saranno una quindicina di milioni i bambini resi orfani dal morbo. Le case si svuotano perché tutti i loro abitanti sono morti. In altri casi, i figli più grandi abbandonano la scuola per prendersi cura dei fratellini, divenendo così soggetti vulnerabili in quanto affrontano il futuro senza alcun sostegno.
Si tratta per l’Africa di una minaccia senza precedenti. E’ estremamente importante che le comunità locali vengano informate correttamente, non soltanto perché siano al corrente dei fatti, ma anche perché possano in qualche modo prendere in mano la situazione. A livello di comunità si deve imparare ad affrontare la malattia seriamente, sottoponendosi alle analisi del caso per impedire il diffondersi del contagio. Alle donne sposate che scoprano di avere un marito contagiato deve essere accordato il diritto di rifiutare rapporti sessuali non protetti. Le donne e le ragazze sono particolarmente esposte all’infezione da Hiv/Aids a motivo della loro posizione socioeconomica in seno alla società. Oltre a non possedere alcunché, non potendo accedere alla scolarizzazione né a forme di assistenza sanitaria, esse sono sempre più spesso vittime di violenza, stupii e costrette alla prostituzione. Pur tuttavia, ci si aspetta da loro che si prendano cura dei malati. Particolarmente preoccupante è la posizione delle tante ragazze povere, indotte a credere che vendere sesso sia l’unica via possibile di sopravvivenza - mentre invece si espongono al rischio gravissimo di contrarre la terribile malattia.
Dove sono andati a finire i valori morali e il senso di responsabilità degli adulti, che dovrebbero proteggere i bambini e i segmenti più vulnerabili della società? Che ne è del diritto e della giustizia? Quali sono le alternative possibili? C’è qualcuno che presti orecchio? Qualcuno che si preoccupi?
Personalmente ho messo in guardia contro le false credenze e la mala informazione - come ad esempio l’idea che la malattia sia una maledizione di Dio, o che avere rapporti con una vergine curi l’infezione. Nella mia regione, questi pregiudizi sono alla base di un serio aumento dei casi di violenza sessuale nei confronti di minori. Tengo a chiarire che non credo affatto, e mi guardo bene dall’affermare, che il virus sia stato elaborato e diffuso dai bianchi, o da qualche loro potenza, per distruggere il popolo africano. Sono falsità che ritengo distruttive. Per combattere I’Hiv/Aids è indispensabile che manteniamo vivi i valori positivi che hanno tenute coese le nostre società tradizionali, tra cui il principio dell’astinenza dal sesso tra i giovani e la fedeltà reciproca degli sposi all’interno del matrimonio. Oggi l’uso del profilattico è lasciato alla libera scelta. E’indispensabile, comunque, che ci si avvalga in maniera opportuna e responsabile di tutte le opzioni di cui si dispone.
In Africa, dobbiamo indurre un dibattito più libero e illuminato sulla minaccia rappresentata dall’Hiv/Aids, riconoscendo e imparando dai successi già conseguiti nella battaglia contro la malattia. Quindici anni fa, in Uganda si temeva che l’Hiv/Aids potesse annientare l’intera società. Oggi assistiamo a un marcato progresso nella lotta al morbo, grazie soprattutto al senso di responsabilità della leadership politica sotto il governo del presidente Musive. Gli uomini che occupano posizioni di leadership in ogni angolo dell’Africa dovrebbero trarre ispirazione dall’ex presidente del Sudafrica, Nelson Mandela, da quello dello Zambia, Kenneth Kaunda, che dedicano gran parte del loro tempo ed energie alla lotta contro questa tremenda pandemia.
La minaccia per la pace e la stabilità costituita dall’Hiv/Aids è stata oggetto di dibattito in seno al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, e ha trovato nel Segretario Generale Kofi Annan un convinto assertore della gravità del problema. Condivido pienamente la sua posizione, e ritengo che la questione Hiv/Aids debba essere al primo posto nell’agenda politica dell’Unione Africana. In Africa non possiamo, tuttavia, vincere la battaglia contro l’Hiv/Aids da soli. Occorre che il mondo intero abbia una chiara percezione di quello che è il contesto culturale, oltre che consapevolezza della solidarietà e del sostegno concreto di cui abbiamo bisogno - compresa l’autorizzazione a produrre farmaci generici - per una maggiore possibilità di accesso alle terapie, per l’eliminazione della povertà e per un migliore stato nutrizionale della popolazione. Si tratta di una sfida globale posta ai leader sia politici che religiosi.
Se da un lato ci serve che il resto del mondo ci incoraggi, ci sostenga e collabori con noi, dall’altro è indispensabile che dal di fuori ci si convinca che è proprio dal nostro sistema di valori che nasceranno alcune delle soluzioni al problema.
GLI AFRICANI E LA BIBBIA
«Già nell'ambiente colonialista era in voga l'abitudine di gettare in mare la Bibbia non appena attraversato il canale di Suez. Pure i missionari, affascinati dal "Continente Nero", non gettavano in mare la Bibbia, ma solo la tonaca.»
«Quando i missionari giunsero, noi africani avevamo la terra e i missionari la Bibbia. Essi ci dissero di pregare ad occhi chiusi. Quando li aprimmo, loro avevano la terra e noi la Bibbia.»