Tre grandi gruppi, Bantu, Cushiti e Niloti, con 3 classi linguistiche differenti, hanno dato origine a gruppi minori e più specifici, le tribù, caratterizzate da diverse sfumature,
identità nonché diversi dialetti.
In Kenya sono 44 le tribù ufficialmente riconosciute e proclamate, ultima in ordine di tempo la comunità indo-pakistana dichiarata il 22 luglio 2017 come 44a tribù nel paese. Si
contano invece oltre 53 tribù, ma le diramazioni nei diversi popoli diventano molte di più. Il paese è abitato anche da minoranze arabe che si sono insediate sulle coste;
altre minoranze sono costituite da europei e comunità cinesi.
Arrivati in Kenya dall'Africa centrale, si sono divisi in
tre gruppi a seconda dell’area di approdo.
I Bantu stanziatisi a Ovest del Lago Vittoria: Luhya, Kisii o Gusii, Suba, Kuria, tutti questi, per
differenziarsi dal ceppo che si trova più nel centro del Kenya, utilizzano il prefisso ‘Aba’, davanti al nome (AbaLuhya);
I Bantu dell’altopiano, sono i più numerosi e occupano alcune tra le terre più fertili del Paese: Kikuyu (la più popolosa), Kamba, Meru,
Embu, Tharaka, Mbere, Seg[h]eju;
I Bantu della costa: Mijikenda, Taveta, Pokomo (fiume Tana), Taita e altri.
Mijikenda o WaNyika è un nome comprensivo con cui si
designano nove importanti gruppi etnici che vivono nell'entroterra costiero: Giriama, Digo, Duruma, Chonyi, Jibana, Ribe, Kambe, Rabai e i Kauma, per un totale complessivo di oltre un
milione.
Il nome "bantu", nella maggior parte delle lingue del gruppo, significa "gente" (-ntu indica una persona, e il prefisso ba- produce una forma plurale).
Sono citati in tutte le Sacre Scritture come gli abitanti dell'Africa orientale e tracciano la loro discendenza
fino a Cam, uno dei figli di Noè, per tramite del suo figlio maggiore Kush, scritto anche Cush.
Sono i Somali, Rendille, Galla o Oromo, Boni, Borana, Gabbra, Orma,
Sakuye, ElMolo, Burji, Dassenic.
Rappresentano il 3% della popolazione, e vivono sul 14% del territorio, arido e semidesertico.
NILOTI PARANILOTI (un terzo della popolazione keniota)
Luo, Nandi,
ElKeyo o Elgeyo, Iteso o Teso, Kipsigi o Kipsigis, Marakwet, Ogiek (Okiek) o Ndorobo (Dorobo),
Pokot, Sabaot, Suk, Terik, ElTug[h]en e Turkana.
Poi ci sono i pastori seminomadi, indipendenti di lingua Maa: Maasai (Masai), Samburu, Njemps e
Ilchamus; Swahili: Bajuni (arcipelago di Lamu), Pate, Mvita,
Vumba, Ozi, Fundi, Siyu, Shela, Amu.
In Kenya ci sono anche altre etnie, tra cui 50.000 ca. Arabi (Oman, Yemen, Arabia Saudita); 100.000 ca. Asiatici (India, Punjab, Gujarat, Goan, Pakistan); 43.000
Europei, di cui circa il 15% ha preso la cittadinanza keniota.
Cacciatori e Raccoglitori | Dahalo, El-Molo, Ogiek (Ndorobo), Sanye | |
Bantu | Ovest | Luhya, Kisii (Gusii), Kuria, Suba |
Centro | Kikuyu, Kamba, Meru, Embu, Tharaka, Mbere, Segeju | |
Costa | Mijikenda, Taveta, Pokomo, Taita | |
Niloti Paraniloti | Niloti | Luo |
Teso | Iteso, Turkana | |
Maasai | Maasai, Samburu, Njemps, Ilchamus | |
Kalenjin | Nandi, Kipsigi, Elgeyo, Sabaot, Marakwet, Tugen, Terik(e), Endorois, (Pokot) | |
Cushiti | Somali, Rendille, Galla (Oromo), Boni, Borana, Gabbra, Orma, Sakuye | |
Swahili | Bajuni, Pate, Mvita, Vumba, Ozi, Fundi, Siyu, Shela, Amu |
I Bajuni sono circa 50.000. Vivono sulla Costa keniota, ma affermano provenire da terre molto più a
Nord.
Immigrazioni e mescolanze portarono all'assorbimento dei discendenti arabi e persiani nei Bajuni.
Sono principalmente pescatori e agricoltori ma anche artigiani specializzati nella lavorazione del legno. Sono costruiti da loro i bellissimi dhow con la vela triangolare latina. Con
queste imbarcazioni navigano le acque dell'Oceano Indiano e si spingono fino all'Arabia e al Golfo Persico, partendo da Lamu, Malindi e Mombasa.
Qualche volta il termine Boran è usato per descrivere tutte le tribù parlanti Galla e altre volte per
differenziarli tra i veri Boran e i loro vicini Gabbra, Sakuye e Warta.
I costumi descritti qui sono praticati dai veri Boran, ma alcuni sono comuni a tutti i gruppi imparentati di cui sopra.
Essendo dei pastori nomadi abituati alle zone semi aride o desertiche a nord di Marsabit, essi possono permettersi il tipo d'isolamento che li ha tenuti culturalmente intatti.
Alcuni dei più insoliti costumi dei Boran vengono dal loro modo di vita nomade. Per esempio, l'inconsueta punizione data ad un uomo che abbandona nel deserto un parente o bestiame ferito, è
impedire ad altri membri della tribù di sposare una delle sue figlie. Questa è una punizione terribile, considerando che tuttora il matrimonio fuori della tribù non è permesso.
Fortunatamente oggi non è più necessario uccidere un non Boran per essere riconosciuto un gentiluomo com'era una volta.
È con molta riluttanza che un Boran poverissimo possa dare in sposa la figlia ad un Gabbra o Sakuye.
Questi gruppi, pastori di cammelli, cacciatori e raccoglitori di legna, sono considerati superiori ai Warta, che sono soltanto cacciatori e raccoglitori di legna, ma sono raramente sposati tra
loro, un sistema per tenere la stirpe pura.
Inconsueto per un gruppo etnico affondato nelle tradizioni, i Boran specificatamente proibiscono il matrimonio forzato e non accettano il divorzio.
Date le dure condizioni di vita di queste aree, una rimarchevole forma di generosità c'è nella vita della comunità. Un uomo può chiedere e aspettarsi di ricevere ogni sorta di favori materiali da
un altro uomo del suo clan. I costumi Boran non permettono ad una persona di rifiutare la richiesta, la sola eccezione è la domanda di bestiame o cammelli.
Le pecore sono richieste come regalo in alcune occasioni, ma è soltanto quando un disastro naturale fa perdere il bestiame ad un pastore, che può chiedere assistenza per ricostituire la sua
mandria.
Le leggi del costume in questo e in altre faccende, è imposto dal consiglio politico degli anziani e funzionari che vive in un villaggio permanente chiamato "Yaa", diversamente dal loro costume
nomade.
I capi spirituali, gli Aba Gadha, inclusi i giudici (Jallab) e i magistrati (Hayyu) sono ritenuti d'origini divine.
I dirigenti e funzionari sono ancora scelti per successione dalla stessa generazione, in una cerimonia tradizionale chiamata Jilla Galla (festival del pellegrinaggio).
I Boran sono uno dei pochi gruppi etnici che attuano il servizio giovanile.
I ragazzi giovani sono circoncisi tra i 18 e i 20 anni d'età, e per i cinque successivi devono fare lavori comuni per qualificarsi al matrimonio.
La punizione per il sesso prematrimoniale, è di essere trattato come un reietto, un senza casta. Una volta era costume sentenziare a morte una ragazza incinta, ma oggi è sufficiente espellerla
dal clan.
Per il sesso prematrimoniale la regola sembra essere molto rigida, mentre relazioni extra matrimoniali sono trattate con molta più indulgenza.
È pratica accettata avere relazioni con qualsiasi altra donna sposata, con l'eccezione della moglie di un coetaneo, ma se questo dovesse accadere, non c'è bando o punizione, uccidere una pecora o
dare un po’ di denaro al marito offeso, chiuderà la faccenda.
Questa pratica è inoltre soggetta a certe condizioni, se un uomo seduce una donna sposata del suo clan, il marito non può reclamare alcun compenso, ma se lui e il marito appartengono allo stesso
clan, è obbligato a pagare i danni all'offeso se colti in flagrante.
L'isolamento dei Boran ha tenuto la loro eredità culturale relativamente intatta.
Sono agricoltori provenienti dall'Etiopia meridionale e sono una delle numerose comunità di lingua
Oromo. Sono giunte in Kenya attraverso il confine settentrionale.
Coltivano un po' di tutto, mais, fagioli, caffè, cotone, tabacco, banane e zucche. Sono inoltre degli ottimi tessitori di capi d'abbigliamento in cotone da loro coltivato.
Sono insediati praticamente su tutta la Costa keniota, da Okunda a Lamu.
In Kenya i Chuka sono conosciuti principalmente per la loro abilità con i tamburi, la loro abilità
acrobatica ed il coraggio con i quali sono effettuate le loro danze. I lunghi e sottili tamburi sono cavalcati dai danzatori durante le loro esibizioni, ma questa tradizione è completamente
scomparsa già da qualche decina di anni. La sola eccezione è un gruppo di danzatori-suonatori che si esibiscono al Mount Kenya Safari Club per la gioia dei turisti.
Il Mount Kenya Safari Club, un tempo di proprietà dell'attore William Holden è situato nella zona a Nord-Ovest del Monte Kenya, terra dei Kikuyu. I Chuka appartengono al gruppo etnico Bantu, ma
gli antropologi sostengono che essi appartengano al sottogruppo dei Meru, benché essi abbiano molte più affinità con gli Embu e le tradizioni orali dimostrano che Chuka ed Embu una volta erano
una sola tribù. Pochi di numero, se comparati ai loro vicini nemici storici, i Chuka che vivono sui pendii del Monte Kenya, hanno avuto raramente il lusso di poter decidere del loro futuro.
Prima del periodo coloniale sono stati tormentati e scacciati dalle più potenti tribù degli Embu e Meru e durante l'occupazione coloniale furono incapaci di resistere alla quasi totale
distruzione della loro società e cultura da parte inglese. Come risultato i Chuka di oggi sono quasi completamente occidentalizzati ed altrettanto poveri.
La maggioranza sono cristiani e delle loro antiche tradizioni non c'è rimasto nulla. Conosciuti anche come Muchuka, Suka, Chuku, sono agricoltori e lavorano con assiduità e precisione le loro
coltivazioni a terrazza sui pendii del Monte Kenya.
L'epicentro del loro mercato è la città di Chuka, lungo la strada Embu-Meru. La carestia è senza dubbio una caratteristica ricorrente nella loro vita, quantunque meno sentita rispetto ai loro
vicini Embu. Il loro sistema di vita è costituito dall'agricoltura e dal commercio, caffè, tè e piretro sono le principali fonti di reddito, ma i raccolti per l'alimentazione non sono sufficienti
a coprire le necessità alimentari.
Nel Distretto di Marsabit, ad Ileret, vivono stabilmente solo poche migliaia di Dassenich. Piccole
comunità sono insediate anche nella zona settentrionale del Lago Turkana.
Sono dediti alla pesca che effettuano lungo la costa orientale del lago con le loro canoe scavate nel tronco degli alberi. Il pesce pescato è fatto seccare al sole.
Si adornano di piume di struzzo e si tingono la pelle con l'ocra e questo lavoro richiede molte ore.
I loro nemici storici sono i Turkana, Gabbra e Rendille, che negli anni anni hanno avuto modo di constatare la loro crudeltà.
Tribù di circa 300.000 individui che vivono lungo la Costa, dal confine con la Tanzania e su fino
alla parte Nord della Costa del Kenya.
Essi rappresentano uno dei clan dei Mijikenda. Benché il 99% si consideri musulmano, l'animismo e la stregoneria hanno una grande influenza su di loro.
Gli stregoni sono consultati regolarmente e sacrifici di sangue (non umano) sono molto significativi.
Molti Digo vivono in piccole fattorie e producono quel tanto che basta per la loro sopravvivenza.
Le loro case sono fatte di rami e fango con un tetto di paglia. I pavimenti sono di terra, ma sono tenuti puliti. Allo stesso modo dei capi famiglia, gli anziani sono tenuti in altissima
considerazione, sono rispettati e sono molto influenti nei loro villaggi.
Molte donne sono analfabete e quelli che sanno leggere e scrivere tra i Digo sono circa il 50%. Nella loro area di insediamento ci sono molte moschee e sono ben mantenute.
Può darsi che la più particolare abitudine tra gli Elgeyo, sia l'uso delle stelle per prendere
decisioni di carattere sociale, come quella di decidere il periodo della cerimonia d'iniziazione (circoncisione).
Mentre loro cercano anche di predire il futuro leggendo il fuoco (dal tipo e dall'estremità delle fiamme) o leggendo i resti non digeriti contenuti nello stomaco di un animale appena ucciso, è la
lettura delle stelle, che li mette in una condizione particolare. Può darsi che ci siano altre tribù che praticano l'astrologia, ma non ne siamo a conoscenza.
La cerimonia dell'iniziazione, è determinata dalle quattro stelle più brillanti della costellazione Aquileia.
Gli Elgeyo descrivono le due stelle più brillanti come il Guerriero e sua Moglie, la moglie è la più grande, in quanto indossa più vestiti. Le altre due stelle, rappresentano i loro figli.
L'avvistamento e la posizione di una o più stelle, determina quale decisione gli Elgeyo debbano prendere nei vari aspetti della loro vita.
Quando la stella-moglie è vista sola, è segno che la carestia si sta avvicinando e la tribù dovrebbe prepararsi ad affrontarla. Quando invece è vista con un figlio vicino, significa che il
prossimo raccolto sarà scarso, e la tribù in quella stagione non deve avere la cerimonia d'iniziazione.
Soltanto quando il guerriero e sua moglie sono visti ad Est, la cerimonia della circoncisione (Sakobei) è possibile.
Gli Elgeyo da una comunità che chiamava se stessi 'keyo', trasformato poi in Elgeyo (Ilkeyu) dai trafficanti Swahili che usavano la lingua Maasai per i loro affari.
I Kiptani, una delle sedici diramazioni degli Elgeyo, sono occasionalmente riferiti ad altre sezioni di Elgeyo, come i Marakwet, perché la loro terra nella valle 'ndo', confina a nord con
Maeakwet.
Ora, i costumi Elgeyo, hanno più affinità con i Karamojong che con i Marakwet.
Un'altra pratica inconsueta è la punizione comminata per crimini seri commessi nella tribù; furti, invariabilmente di bestiame, sono trattati con leggerezza, con il semplice pagamento di una
multa. Ma se il figlio di un uomo, è un ladro abituale, e perde gran parte della mandria del padre per il pagamento delle multe, è considerato 'anormale' e per questo è sottoposto ad una
giustizia più dura.
Il padre convoca i vicini e gli uomini del clan e propone che il figlio sia strangolato. Se loro si trovano d’accordo, al giovane è data una corda con le istruzioni per farlo.
Il suicidio forzato è usato per disposizione dello stregone che pratica la medicina malvagia (povoinin); soltanto al moiyet con la medicina bianca è consentito praticare senza creare danni.
Una volta descritto come abitante delle rocce del Kenya, oggi è il meno conosciuto gruppo etnico in Kenya.
L'abilità di avere bambini, è di grande importanza, a Marichor, le inumazioni sono concesse soltanto a quelli che hanno avuto figli.
La donna che non ha avuto figli per un ragionevole periodo, normalmente dodici mesi, deve lasciare la capanna del marito e cercare un altro uomo.
Deve continuare così fino a che non ha avuto un figlio o abbia raggiunto la menopausa, allora lei può avvicinare un uomo e offrirsi di adottare uno dei suoi figli meno importanti, quelli avuti
dalla seconda o terza moglie (poligamia), per avere la possibilità di ereditare le sostanze del proprio marito.
Una donna che fugge dal marito, è riportata indietro a forza dal padre e dal fratello fino a quattro volte, se fugge ancora, è lasciata libera.
Lei può vivere e avere figli con un altro uomo, ma non lo può sposare senza il consenso dei parenti e del primo marito, ogni bambino che lei avrà, apparterrà al primo marito.
Questa piccola tribù di poche centinaia di elementi una volta viveva sulle isole al centro del lago
Turkana. Oggi, abbandonate le isole si sono stabiliti sulla costa sud orientale del lago. Sono gli ultimi veri raccoglitori e cacciatori.
La loro sussistenza deriva esclusivamente dalla pesca, effettuata con zattere fatte con tronchi di palme dum (Hyphaene thebaica). Mangiano quasi esclusivamente pesce, fresco o essiccato
e carne di coccodrillo o ippopotamo. Raramente selvaggina.
Il loro stile di vita sta cambiando lentamente, oggi si dedicano anche all'allevamento di bovini e qualcuno tenta anche l'avventura nel settore turistico con la pesca turistica. Sono anche degli
abili artigiani che fabbricano cestini, reti e trappole.
La moderna medicina ha contribuito alla crescita del loro numero, ma soprattutto i matrimoni misti con le tribù dei Samburu e Turkana. Stanno anche adottando la lingua di queste due tribù.
Essi hanno in comune le origini con i Kikuyu. Migrarono da Igembe e Tigania ed hanno una leggenda
riguardante un boschetto sacro conosciuto con il nome di Mwene-Ndega.
Due clan chiamati Igamuturi e Kina, facilitarono il trasferimento a questo boschetto. Secondo la leggenda, Mwene-Ndegha era il nome dell'uomo che viveva in questo boschetto ed il significato è
che gli Embu sono i suoi discendenti.
Mwene-Ndega aveva una moglie che si chiamava Nthara, con la quale ha avuto due figli, un maschio ed una femmina chiamati rispettivamente Kembu e Werimba.
Questi ultimi commisero incesto e dovettero essere espulsi dal boschetto. Kembu e Werinba costruirono una casa per loro e più tardi i loro figli insieme a quelli di Mwene-Ndega e Nthara si
sposarono e formarono quella che oggi è conosciuta come tribù Embu.
Tornando alla realtà essi sono tradizionalmente cacciatori e raccoglitori, ma gradualmente si spostarono verso l'agricoltura, piantando miglio, sorgo, manioca, patate dolci, piselli, diverse
varietà di banane e canna da zucchero.
Questa popolazione si trova nel Nord del Kenya, vicino al lago Turkana ed in Etiopia. Sono nomadi ed
effettuano i loro spostamenti con i cammelli. Si considerano Borana. I loro usi e costumi in molti casi sono identici a quelli Borana.
Sono poco più di 40.000 e vivono principalmente nel deserto del Chalbi nel Kenya del Nord, tra il suddetto lago Turkana ad Ovest del Paese, il Distretto di Moyale a Est e Marsabit a
Sud.
In questa popolazione soltanto il 2% è cristiano, la maggioranza segue le religioni tradizionali e l'eredità culturale lasciata dai loro antenati. La credenza religiosa dei Gabbra è strettamente
collegata alle loro mandrie. Gli animali sono molto di più del cibo, sono necessari per effettuare sacrifici rituali per la fertilità, la salute e la benevolenza degli spiriti.
L'influenza musulmana è molto forte in alcune zone. I Gabbra per tradizione credono in un solo Dio, che chiamano 'Waka'. Il loro modo di vivere ha contatti molto limitati con l'influenza
cristiana. Nei tempi passati sono venuti in contatto con la cristianità delle città, ma si sono fatti pochi sforzi per avvicinarli alle religioni occidentali.
La storia del popolo Galla è molto complessa: una potente popolazione camitica dell'Africa orientale, sparsa per la vasta regione che si estendeva per circa 1000 miglia dalle parti centrali dell'Abissinia alla regione del fiume Sabaki in Africa Orientale Britannica (oggi Kenya). Il nome "Galla" o "Gala" sembra essere un soprannome Abissino, sconosciuto alla gente, che si definiscono 'Ilm Orma', che significa "figli degli uomini", da cui deriva la parola Oromo, o "figli di Orma", un eroe eponimo. In Shoa (Etiopia) la parola è collegata con il fiume Gila nel Gurage, sulle rive del quale, si dice, una grande battaglia sia stata combattuta tra i Galla e gli Abissini. I musulmani abissini raccontano che, quando furono chiamati da un messaggero del Profeta per adottare l'Islam, il capo dei Galla disse "No" , e il Profeta nel sentire questo, replicò "Allora lasciate che il nome stesso implichi la negazione della fede".
Quasi nulla si sa con certezza circa l'origine di questo popolo, ma probabilmente provengono dalla
regione ad Est di Victoria Nyanza (Lago Vittoria). Le tribù vicine al Monte Kenya li indicano come un popolo che periodicamente andava in pellegrinaggio alla montagna, facendo offerte ad essa
come fosse la loro madre.
Una teoria è stata avanzata: il grande esodo, che ebbe inizio tra i popoli in tutta l'Africa orientale nel corso del 15° secolo, è stato causato da qualche grande eruzione del Monte Kenya e altri
vulcani dell'Africa equatoriale.
Gli invasori Galla, popoli di lingua Oromo, cominciarono a migrare verso gli altopiani dell'Abissinia (oggi Etiopia), diffondendosi gradualmente anche alla zona a nord del Monte Kenya e lungo il
fiume Tana fino alla costa.
Con il termine geografico Galla-terra era utilizzato principalmente per indicare le regioni centro-meridionali dell'impero abissino, il paese in cui i Galla erano numericamente più numerosi. Non
esisteva una linea di demarcazione netta tra il territorio occupato, rispettivamente, dai Galla e dai Somali.
In ogni caso i Galla devono essere considerati come membri di quella vasta famiglia camitica orientale che comprende i loro vicini, i Somali, gli Afar (Danakil) e gli Abissini. Come in tutti i
Camiti orientali, vi è un ceppo sensibile di sangue negro nei Galla, che erano, tuttavia, come descritti da Sir Frederick Lugard, "una razza meravigliosamente bella, con fronti alte, pelli
marrone e capelli ondulati e morbidi del tutto diversi dalla lana dei bantu". Di norma le loro caratteristiche sono piuttosto europee. Il loro colore è marrone scuro, ma molti dei Galla del
nord sono color caffè-latte.
Invece, secondo chi scrive, i Galla-Oromo dell'Etiopia devono essere considerati come i discendenti degli Zimba (Wazimba,
Jaga o Ba-Yaka). Infatti mappe storiche dell’impero abissino e somalo segnalano che una grande migrazione ha portato la maggior parte degli Galla-Oromo nell'odierna
Etiopia nel XVI secolo. Molti storici concordano infatti sul fatto che alcuni clan hanno vissuto per più di un millennio a sud dell’attuale Etiopia, nella regione dei grandi laghi e del
Kilimanjaro.
I Galla erano per la maggior parte nomadi e pastori, anche se in Abissinia avevano alcuni insediamenti agricoli. Le loro abitazioni, cerchi di pietre grezze coperte con le erbe, erano
generalmente costruite sotto gli alberi. La loro ricchezza consisteva principalmente nei bovini e nei cavalli. Tra le tribù del sud si diceva che ogni uomo, donna e bambino possedeva circa sette
o otto capi di bestiame; e fra le tribù del nord, siccome né uomo né donna pensava mai di percorrere qualsiasi distanza a piedi, il numero di cavalli era molto grande. Il cibo ordinario era
costituito da carne, sangue, latte, burro e miele. Il miele era considerato di grande importanza dai Galla del sud, tanto che se il marito non riusciva a fornire alla moglie una fornitura
sufficiente di miele poteva essere escluso da tutti i diritti coniugali. Nel sud la monogamia era la regola, ma nel nord del numero di mogli di un uomo era limitato solo dalla sua volontà e la
sua ricchezza. Ogni tribù aveva il suo capo, che godeva lo strano privilegio di essere l'unico commerciante per il suo popolo, ma per tutti i problemi che affliggevano la comunità doveva prendere
le soluzioni suggerite dai padri di famiglia riuniti in consiglio. La maggior parte delle tribù erano pagane, adoravano un Dio Supremo Waka, e il dio e la dea subordinato Oglieh e Atetieh, il cui
favore era garantito da sacrifici di buoi e pecore. Alcune tribù, e in particolare i Wollo Galla, convertiti all'Islamismo, furono fedeli molto bigotti del Profeta. Nel nord, dove i Galla erano
sotto il dominio Abissino, ebbe luogo una specie di superficiale cristianizzazione, nella misura in cui, le persone avevano familiarità con i nomi di Maremma o Maria, Balawold o Gesù; ma a tutti
gli effetti la pratica del paganesimo fu sempre in vigore. Il serpente era un oggetto di culto speciale, i Galla settentrionali credevano che fosse l'autore della razza umana.
Sebbene crudeli in guerra, tutti i Galla rispettavano la parola data. Essi erano armati con una lancia, un coltello a doppio taglio, e uno scudo di pelle di bufala o di rinoceronte. Un
considerevole numero trovavano occupazione negli eserciti abissini.
Tra le tribù più importanti del sud (il nome in ogni caso deve terminare con Galla) c’erano i Ramatta, i Kukatta, i Baole, gli Aurova, i Wadjole, gli Ilani, gli Arrar e i Kanigo Galla; i Borana,
una potente tribù, può essere considerata una demarcazione tra nord e sud; e nel nord gli Amoro, gli Jarso, i Toolama, la Wollo, gli Ambassil, gli Aijjo, e gli Azobo Galla.
I Galla, il popolo nomade che aveva invaso il sud dell'Etiopia e abbracciato l'Islam, verso la fine del secolo scorso, presero la denominazione di Oromo o Orma.
Diversamente da molti altri gruppi etnici nei quali la stregoneria era riservata alle donne, nei
G(h)iriama è gestita principalmente da uomini anziani. I G(h)iriama inoltre credono che ogni persona nella società sia una strega o stregone potenziale.
Conseguentemente erano impauriti non soltanto che un vicino potesse fargli del male, ma anche che loro potevano fare del male attraverso la stregoneria.
Per questa ragione i membri della tribù cercarono protezione da quattro cose; dagli incantesimi delle streghe, da accuse di stregoneria, dalla paura e infine dal divenire essi stessi stregoni.
Fascino, medicine, bando degli stregoni e la cerimonia del lavaggio, erano i metodi comuni di protezione. Tecniche di caccia alle streghe, punizioni e lavaggi, toglievano il potere alle persone
che praticavano la stregoneria.
L’interpretazione del male ed i mezzi per uscire da questa situazione, erano inoltre ostacolati dalla situazione politica dei G(h)iriama. Per esempio con i tradizionali sistemi, molte volte si
rischiava di lasciar prosperare la stregoneria. Alcuni mezzi per combatterla erano asce o rocce roventi messi sulle palme delle mani, aghi roventi infilati nel labbro superiore, papaya spalmata
sul viso e sulla bocca per provocare sudore, e pane trattato in modo particolare da bloccarsi nella gola del colpevole.
La minaccia di sottoporre a queste prove, spesso provocava la confessione, dopo la quale veniva somministrata una medicina di ‘lavaggio’. Durante un periodo della loro storia, quando i G(h)iriama
erano lontani dalla terra natia, acquisirono dagli Swahili, Kamba e Mijikenda metodi per cacciare la stregoneria. Con l’introduzione di leggi esterne, colonialismo e indipendenza, molti dei loro
metodi tradizionali e acquisiti, vennero banditi.
La pulizia della società tutta, attraverso cerimonie divenne la più comune forma per combattere la stregoneria. I G(h)iriama vissero in foreste chiamate ‘kaya’, guidati da consigli di anziani
(‘kambi’) che avevano il potere sul benessere della tribù. Il ‘kambi’, stregoneria controllata somministrando ‘bagni’, bastonature, sentenze di morte e bando dal ‘kaya’ per quelli sospetti,
potevano forzare le confessioni dei testimoni con le loro potenti medicine e giuramenti. Il più conosciuto, potente e letale meccanismo di controllo della stregoneria tra i G(h)iriama era la
prova del veleno.
Tre delle loro quattro società segrete avevano medicine e giuramenti tenuti dagli ‘aganga’, che avevano sviluppato l’abilità nel somministrarli. Il più significante di questi era il
veleno-giuramento ‘Vaya’. Gli ‘aganga’ di questa società segreta, erano chiamati ‘fisi’ (iene) e la loro medicina, ‘mbare’, era conosciuta per uccidere con rapidità. Il giuramento ‘fisi’ veniva
usato come prova tra accusato e accusatore in una prova diretta o anche come appello finale della giustizia quando altre prove non erano state soddisfacenti. Considerato che poteva uccidere, il
giuramento veniva considerato con estrema serietà.
Durante il periodo della loro lontananza dalla terra natia, i G(h)iriama furono esposti anche alla tradizione e cultura Musulmana. Una fonte di malvagità, ‘mapepo’, gli spiriti, venivano
considerati quasi esclusivamente come spiriti Musulmani. Spiriti ancestrali, ‘koma’, divennero meno importanti nella vita spirituale G(h)iriama. I ‘mapepo’ si affermava possedessero certe
persone, dando loro un potere più grande dei comuni mortali. I ‘mapepo’, potevano essere facilmente esorcizzati da un comune uomo della medicina, dopo ciò si credeva che la persona posseduta
avesse l’abilità di richiamare il ‘pepo’, predire il futuro e identificare le streghe. Fu considerato una fortuna essere posseduti dal ‘pepo’. C’è un interessante periodo nella storia G(h)iriama,
quando un insolito numero di donne furono possedute dal ‘pepo’, facendo cose che in normali condizioni, non sarebbero state in grado di fare.
MALU
È conosciuta con questo nome la tradizione di questa tribù per risolvere problemi d'infedeltà coniugale. Se un marito è tradito dalla moglie, si rivolge ad un consiglio di anziani del villaggio i
quali si riuniscono per esaminare i fatti.
Se arrivano alla conclusione che il marito tradito ha ragione, condannano allora il colpevole (l'amante della moglie) a pagare una penalità costituita da denaro o bestiame.
Il giudizio degli anziani è inappellabile ed il malcapitato non può sottrarsi al pagamento di quanto dovuto.
Sono strettamente imparentati con i Samburu ed i Maasai e ne sono rimasti poche migliaia, sembra
7.000 circa.
A differenza dei loro cugini Samburu e Maasai dediti all'allevamento, gli Ilchamus sono allevatori e pescatori, ma si dedicano all'allevamento soltanto nella stagione secca, portando il bestiame
sulla riva del lago lasciata dalle acque ritiratesi.
A causa del gran numero di turisti visitatori, il loro stile di vita sta cambiando lentamente.
Il passaggio a una nuova età, la circoncisione, la nascita di un bambino o l'arrivo delle piogge, sono per loro sempre un buon motivo per danzare e cantare.
Gli Iteso si trasferirono in Kenya nella zona del Monte Elgon alla fine del secolo scorso. Questo
insediamento fece si che tra loro ed i Luhya scoppiassero sanguinosi conflitti per rubare il bestiame.
Gli Iteso sono anche agricoltori oltre che pastori e quando iniziarono a barattare i loro prodotti in cambio di bestiame, divennero una tribù stabile.
Oggi coltivano mais, cotone, canna da zucchero e tabacco a scopi commerciali e sono degli ottimi agricoltori.
Sono anche degli artigiani famosi per le loro sculture in terracotta e per la produzione di birra.
È normale
pratica culturale di tutti i gruppi etnici che bevendo alcool, di metterne un po’ nel bicchiere, agitarlo vigorosamente e versarlo in terra.
Questa pratica di versare una libagione agli antenati è divenuta parte della gran cultura africana, perfino tra quelle tribù che prestano poca attenzione ai loro spiriti antichi.
Per alcuni Kamba, gli Aiimu (spiriti antichi) giocano un ruolo più grande del loro Dio, nella vita di tutti i giorni questa pratica è più di un superficiale significato.
Il credere negli spiriti di vario genere è così diffuso, che questa comunità è nota per stregoneria, a dispetto del fatto che la pratica non è prevalente rispetto ad altri gruppi etnici.
Un'aggiunta "straniera" a tale pratica, che è il risultato di questa influenza, è stato l'acquisto di Djinns (fantasmi) sulla Costa. Molti Kamba credono che prominenti persone abbiano dentro di
loro spiriti acquisiti sulla Costa.
La salute che viene a mancare improvvisamente, si crede essere il risultato di questi spiriti che, si afferma, si riproducono e perfino convivono con gli umani.
Non è inconsueto consultare indovini o stregoni o indossare un talismano per cacciare via questi spiriti o per migliorare la fortuna.
Perfino la giustizia è soggetta agli spiriti. Contratti di matrimonio, ad esempio, sono considerati giuramenti di sangue, i quali non possono essere sciolti da un tribunale di legge.
È costume restituire una capra cerimoniale nella casa del suocero nell'evento di un divorzio, perché si
crede che risposandosi mentre il giuramento di sangue è ancora in vigore, si andrà incontro a morte prematura.
Facendo un solenne (e spesso fatale) giuramento, chiamato kithitu o mumo, si risolve spesso una serie di dispute.
Si crede che la punizione degli spiriti antichi, impedisca ad una persona di raccontare bugie.
Numerosi aneddoti esistono sui reali effetti di questi giuramenti. Maledizioni e calamità arriveranno con la rottura di un vaso di terracotta, questa credenza è molto comune. Le famose pozioni
d'amore messe nei cibi o strofinate sul corpo per influenzare un amante, hanno una grande influenza nella vita di tutti i giorni, che funzionino o no.
Una delle cose più curiose sui Kamba è "ereditare una moglie", che ha trovato notorietà anche tra i Luo grazie alla diffusione dell'AIDS in Nyanza, non è senza precedenti. Se un uomo alla sua
morte lascia giovani mogli (poligamia), i figli possono prenderle dopo che gli anziani hanno fatto un cerimoniale per prevenire makwa o thavu (tabù).
Questo può accadere soltanto dopo che il fratello più anziano del defunto abbia effettuato la cerimonia di coabitazione con la moglie principale. Inoltre, perfino queste relazioni coniugali sono
semplici, se comparate agli stessi matrimoni di sesso organizzati per preservare la linea di sangue.
Sotto certe circostanze, una donna sterile può "sposarne" un'altra che potrà partorire figli per suo conto.
La donna "sposata" è conosciuta come una iweto e la sua funzione come madre surrogata è ben accettata socialmente.
A parte il giuramento (kithitu o mumo) precedentemente descritto, i Kamba usano una speciale prova per stabilire la colpevolezza in caso d'omicidio o furto.
Una delle più comuni è il kivyu (coltello), quando il mundu mue (l’uomo della medicina), dopo aver arroventato un coltello il sospetto deve leccarlo, la persona colpevole dovrebbe essere quella
che si brucia.
Un'altra singolare prova è il singano (l’ago), dove l'interno della guancia del sospetto è spalmata di calce e un ago è fatto passare attraverso la carne dall’interno verso l’esterno, se la
persona è innocente, non ci sarà dolore o perdita di sangue; nelle persone colpevoli invece l’ago ha difficoltà a passare attraverso la guancia ed è molto doloroso.
Un’altra prova è prendere con le mani nude la testa di un’ascia messa a bollire in una pentola piena d’acqua.
Un corteggiatore dopo che ha individuato la ragazza che vuole sposare, manderà suo padre dal padre di lei per parlare del matrimonio, se accetta, allora le madri dei due ragazzi inizieranno una
dettagliata procedura per le future nozze.
Due capre, mbui sya ntheo, con la cavezza fatta di pelle bovina, sono mandate dal padre di lei e gli è chiesto di avere un rapporto sessuale con la propria moglie, il giorno dopo può restituire
la cavezza, che significa accettazione o restituire le capre che significano rifiuto.
Ricevendo la cavezza indietro, il padre del futuro sposo preparerà della birra (uuri wa kuatiia mbui), la birra che segue la capra, e la porterà in due contenitori di zucca di differenti
grandezze nella casa della futura sposa. La zucca piccola sarà messa nella zona dove dorme la madre della ragazza e la grande nella camera più importante.
Gli anziani di tutte e due le famiglie bevono dalla zucca grande e dopo vanno dove si trova l’altra. La madre della ragazza verserà la birra per il marito e il futuro consuocero per significare
l’accettazione.
I quattro consuoceri poi escono e la birra portata è spruzzata sul loro petto, sullo stomaco e sotto le zucche vuote, dopo ciò la cerimonia è finita e i ragazzi potranno sposarsi.
Prendere la sposa per rapimento, non è una pratica kamba, ma se il prezzo della sposa è stato pagato interamente e suo padre tarda a consegnarla, il futuro marito e quattro membri della sua
famiglia possono rapirla; se il padre obietta ancora, la ragazza è restituita e inizia una discussione per il raggiungimento di una accordo.
Se la madre del rapitore durante il periodo del rapimento unge il collo della ragazza con del burro fuso, non potrà essere restituita per altri due giorni e le sarà chiesto di dormire con il
futuro marito nella seconda notte. Anche nel matrimonio tradizionale la sposa dorme con il marito la seconda notte. Il terzo giorno il padre di lui porta uki wa kuthaitha ithe wa mulitu (la birra
per implorare il padre della ragazza) per negoziare con i genitori di lei.
Con la morte di un uomo, la sua vedova, indiwa, sceglie uno dei suoi cognati per farlo essere suo musina (protettore). Lei è obbligata soltanto a dormire con lui se non ha avuto figli dal marito
defunto. I figli nati da questa unione sono trattati come discendenti del marito, portano il suo nome e hanno gli stessi diritti, come se fossero figli biologici.
Alcuni contestano l’ereditare le mogli (poligamia) del morto da parte del figlio, sostenendo che un uomo non può sposare sua madre. Dobbiamo chiarire a questo punto che in particolari circostanze
sono effettuate delle cerimonie di purificazione in modo che una giovane vedova sia data ad uno dei figli del marito da una delle mogli anziane, per esempio una persona può essere il musina di
una giovane co-moglie di sua madre.
Un figlio adulto deve anche curarsi di sua madre, con il permesso degli zii di sua madre, se è sposato e possiede la casa.
Un uomo che ha avuto molte mogli che hanno partorito figli, ognuno di questi, sposato, può legittimamente dormire con la moglie del corrispondente mezzo-fratello. Per esempio, il secondo figlio
della moglie ‘A’, può dormire con le mogli dei secondi figli delle mogli ‘B’ e ‘C’, questo sistema risolve i problemi d’impotenza, assicurando che ognuno abbia figli e le vedove abbiano qualcuno
che si prenda cura di loro.
Appartengono al gruppo dei Kalenjin e vivono a oltre 700 metri di altezza nella gola del fiume Kerio.
Si trasferirono qui quasi un secolo fa per evitare gli attacchi dei Karamojong dell'Uganda.
Sono allevatori e portano il bestiame a pascolare sulle ricche pianure dell'altopiano Uasin Gishu.
I Keiyo erano per tradizione dei grandi cacciatori di elefanti, bufali e rinoceronti per alimentarsi.
I gruppi etnici che formano i Kalenjin o Kalenji sono: Elgeyo, Endorois, Kipsigis, Marakwet, Nandi, Sabaot, Terike e Tugen.
In realtà, i Kalenjin non formano un vero e proprio gruppo omogeneo. Questi piccoli gruppi etnici sono stati accorpati al tempo della colonia inglese considerando la continuità geografica delle
terre da loro abitate e una certa omogeneità di lingua nilotica e storia. Nel passato, a questa lista, venivano aggiunti i Pokot, che però rifiutano di essere considerati Kalenjin. Il governo del
Kenya ha spesso accorpato i Pokot ai Kalenjin per soli scopi politici.
Questa tribù ha sempre vantato campioni di fondo e mezzofondo: ci fu Kip Keino, poi arrivarono Henri Rono, Wilson Kipketer e Paul Tergat, fino ai campioni di oggi Wilfred Bungei e Pamela Jelimo.
Stessa terra d’origine, il Kenya, stesso sangue nelle vene, quello di una tribù che dalle colline della Rift Valley ha imposto il proprio dominio ovunque si corra una gara di fondo e mezzofondo:
i Kalenjin. Tre quarti degli ori olimpici kenioti sono loro.
A cosa si deve la schiacciante supremazia atletica di un’etnia di appena tre milioni di persone? I Kalenjin vivono in una regione attraversata dall'equatore, a un’altitudine di duemila metri; il
clima mite, giornate tiepide e bassa umidità garantiscono riserve d’ossigeno superiori alla media quando si scende al livello del mare. Una capacità aerobica che nelle competizioni sportive può
fare la differenza.
Un’altra tesi ascrive la superiorità fisica dei corridori della Rift Valley alle loro abitudini alimentari. Popolo di pastori, i Kalenjin si nutrono di latte e carni rosse, ma il loro piatto
principale è l’ugali, una sorta di polenta che integra con l’apporto di carboidrati una dieta molto proteica. Fino a trent'anni fa, un regime alimentare così completo per i podisti Kalenjin
rappresentava davvero un vantaggio, ma oggi tutti gli atleti seguono programmi dietetici scientifici, in grado di coprire in toto il fabbisogno energetico della prestazione sportiva.
La verità, secondo me ed il giornalista keniota John Manners, è che i Kalenjin sono nati per correre. Un’idea empirica, forse approssimativa, ma non infondata, se si tiene conto che già i faraoni
li reclutavano nell’esercito egizio a difesa del regno, avendone notato la velocità e la capacità di reagire alle emergenze in tempi rapidi.
I Kalenjin si sposano tra loro e solcano da secoli la Rift Valley al seguito delle loro mandrie. Di più: sono abituati a correre sotto pressione. C’è infatti un dato antropologico che si somma a
quello genetico: la tribù keniota ammette il furto di buoi come tentativo di rimpossessarsi di un bene considerato proprio per diritto divino, finito per errore in mani altrui. Un abile predone è
in grado di sottrarre le mandrie al suo legittimo proprietario e di guidarle fino a casa per molti chilometri. Una prova di velocità e resistenza che gli consente di acquisire prestigio sociale:
più buoi possiede, più mogli può acquistare, più figli può mettere al mondo. La riproduzione delle sue doti atletiche è garantita. Ma la capacità dei Kalenjin di stringere i denti non è solo un
dono genetico. La loro è una civiltà originariamente guerriera, che sottopone i giovani a prove di forza fin dalla più tenera età in vista della circoncisione, che per i maschi segna il passaggio
dall'infanzia all'età adulta. È vero che questa pratica è diffusa tra molte altre tribù africane, ma chi ha assistito a una cerimonia Kalenjin è pronto a giurare sulla sua peculiare durezza.
Coraggio, sopportazione della sofferenza, determinazione sono i valori comunitari che un ragazzo è chiamato a difendere affrontando un’operazione molto dolorosa, durante la quale è severamente
vietato anche un sussulto, pena l’esclusione sociale. Quale atleta che abbia superato da adolescente un simile rito può considerare ardua una gara olimpica?
Il bagno pubblico forzato nei centri urbani in Kenya è un fenomeno moderno, che può trovare un parallelo in un vecchio costume dei Kalenjin. La sporcizia fisica, nota come 'il mirutik' fra i
Kalenjin, si credeva che mettesse in pericolo le vite delle persone che erano malate e potessero inviare una maledizione dai membri di un clan all'altro. L'offensore di solito era costretto a
fare un bagno, poi gli era data una purga per purificare i suoi intestini.
La pratica di soffocare il figlio illegittimo appena nato con una cinghia di cuoio, quindi morte da soffocazione, per evitare di versare sangue, sembra avere avuto un gran significato fra il
Kalenjin. La cerimonia nota come 'kuleet-aap muget eitap' è tenuta per elevare un anziano ad una posizione di onore nella comunità, un toro è soffocato coprendogli il naso e la bocca prima che
sia macellato e le sue viscere ispezionate.
Se i segnali delle viscere sono buoni, l'uomo e sua moglie s’inginocchiano e poggiano la loro fronte contro gli intestini dell’animale per mostrare un atto d'umiltà noto come 'keulie'. Un anello,
'il tamokiet', fatto con una striscia di cuoio dell'animale ucciso è poi messo all'anulare della mano destra dell'uomo ed un braccialetto con lo stesso nome messo al polso sinistro di sua moglie
e portato per una settimana. Se gli auspici nelle viscere non sono buoni, la carne dell'animale è mangiata e la cerimonia posticipata.
Le regole riguardo alla cattura di prigionieri di guerra fra il Kalenjin sono anche piuttosto insolite. Se un guerriero afferra una ragazza del nemico con la mano destra, diviene sua figlia e può
darla in sposa ad un prezzo stabilito. Se lui volesse prenderla come moglie, deve catturarla con la mano sinistra, in questo caso, deve pagare con del bestiame la dote direttamente ai genitori di
lei. Se il guerriero cattura un ragazzo con la mano destra, questi assume i diritti di un fratello, mentre se l'afferra con la mano sinistra diviene figlio del suo catturatore.
Prima della semina all'inizio delle piogge, si consultano le stelle. Solo dopo il tramonto in una sera chiara, alcuni uomini anziani si siedono e mettono del tabacco nelle loro narici, tirano
indietro la testa per guardare le Pleiadi (korumek). La posizione della costellazione in relazione alle sopracciglia dell'osservatore determina se è giunto il momento propizio per seminare.
Come parte della loro purificazione, agli assassini fanno subire, 'il kachamchamit' (bere il sangue della persona assassinata), il sangue del defunto o preso dall'arma usata per uccidere, è messo
sulla lingua dell'assassino. Gli è fatta mangiare anche l'erba dove è caduto il sangue del defunto.
Quando una persona molto vecchia o malata sta morendo, è portata nel bush (prateria) al tramonto passando da Est. Un po' di cibo e latte sono messi nelle loro bocche che poi sono coperte con un
po’ d’erba. Sono poi lasciati alle iene con l'ammonizione: 'Weegen' (torna a casa presto!). Viene detta questa frase perché i Kalenjin credono nella reincarnazione e che lo spirito possa entrare
in un bambino.
Paragonato agli assassini è l'uomo che ha portato il cadavere di un morto dalla sua casa allo scarico comunale e affronta quattro giorni duri per essere venuto a contatto con la morte. Lunghi
fili d'erba sono legati ai suoi fianchi e non deve camminare sopra l'erba che incontra lungo il cammino.
Alcuni affermano che deve camminare nudo per quattro giorni, vivere nella casa del defunto e non può parlare con nessuno, non può interagire con il resto della tribù. Può parlare soltanto con le
persone che vanno a visitarlo, ma solo indirettamente, attraverso un parente e unicamente sussurrando. Il cibo gli è dato in una ciotola rotta e deve mangiare con un bastoncino, non essendogli
permesso di mangiare con le mani.
La lingua Kikuyu e certe pratiche rituali mostrano l'influenza culturale di molti gruppi etnici.
Frequenti matrimoni con altri gruppi, ad esempio Maasai, ha portato lo sviluppo di corporazioni Kikuyu e Maasai dentro la tribù, attuando leggere differenze nelle usanze.
I matrimoni fra le due tribù, erano più diffusi di quanto si credesse, il vecchio Jomo Kenyatta stesso, aveva sangue Maasai da sua nonna paterna. A parte i Maasai, dobbiamo anche mettere in conto
passate assimilazioni con tribù Igembe, Tigana, Gumba e Athi.
Nomi delle danze cerimoniali effettuate alla circoncisione, i riti stessi della clitoridectomia, nomi degli animali, dei fiori e cosi via, mostrano l'influenza di popolazioni cushite e
nilotiche.
La "riika", sistema di gruppi d’età, le pratiche funebri, il bandire il pesce dalla tavola in alcune zone, l'uso di bestiame per il latte e il sangue, erano tutte pratiche acquisite.
Molte di queste usanze si sono perdute con i tempi, ma alcune sono ancora in uso, non solo tra i Kikuyu, ma anche in altre tribù che loro hanno influenzato.
Le usanze Kikuyu richiedono che uno abbia almeno quattro figli, due maschi e due femmine, per perpetuare il nome dei nonni.
I bambini sono simbolicamente situati nello stesso gruppo d'età dei loro nonni, per questa ragione, talvolta la nonna si riferisce al bambino chiamandolo affettuosamente "mio marito" e alla
bambina come "mia co-moglie", il nonno si riferirà al nipote maschio come "mio pari" e alla bambina come"mia sposa".
Un'altra usanza che è stata in vigore è la "Itega", un cerimoniale che prevedeva un gruppo di donne che offriva doni ad una nuova madre (era ed è in vigore la poligamia), rito che poteva essere
scambiato per una consegna di doni alla maniera occidentale.
La circoncisione maschile moderna include anche un cerimoniale simile, dove i giovani uomini ricevono doni in regalo come congratulazioni per aver passato il rito.
Con i riti della sepoltura, molto è cambiato dai giorni quando i Kikuyu lasciavano i loro morti alle iene, come molti altri gruppi etnici, se una moglie o i figli non erano vivi. Solo ai capi e a
quelli che potevano permetterselo, era data sepoltura.
Recentemente, un uomo non poteva essere sepolto fino a che il figlio non fosse presente. Questo deriva da una vecchia tradizione che una persona può ereditare proprietà soltanto se ha partecipato
a scavare la fossa.
Rasarsi la testa quando una persona è in lutto, una pratica ancora nota tra i Luo, non lo è più tra i Kikuyu, ma pensiamo lo sia stato fino a poco tempo fa.
Ai moderni matrimoni Kikuyu, lo "Ngurario" (versare il sangue dell'unione), è ancora in uso con l'uccisione di un capretto come formalità.
Il rapimento della sposa con la finta resistenza nel giorno del matrimonio, sono stati rimpiazzati, in alcune aree, con il nascondere la sposa, finché un’ulteriore dote, "Ruracio", non sia stata
pagata.
Tra alcuni Kikuyu, le donne sposate non mangiano alla presenza di parenti acquisiti. Un suocero non entra nella casa del figlio, finché la nuora non diventa madre.
Alcune pratiche e credenze, sono così radicate nella vita generale dei Kenioti che poche persone sono a conoscenza delle loro origini Kikuyu.
L'usanza di riferirsi a donne che non sono parenti diretti (di sangue), come "Maitu" (madre mia) in segno di rispetto, continua anche ai nostri giorni, spesso con inaspettati esiti, come si può
notare nei trasporti pubblici.
In molti gruppi etnici i bambini credono che non si diventerà alti se qualcuno camminerà sulle loro gambe, salvo che non si convinca la persona a tornare sui suoi passi. Questo può avere le sue
origini in una superstizione Kikuyu, che quest’azione causa sterilità nelle donne giovani.
Camminare sopra un corpo alla stessa maniera si sostiene che causi "Mangu", una malattia con i sintomi della lebbra.
Ci sono molte altre usanze e credenze condivise tra i kenioti, le quali origini sono sconosciute.
Nei recenti anni, la società keniota ha associato il mese d'Agosto con le calamità nazionali.
È interessante notare che i Kipsigi una volta credevano che il mese conosciuto come ‘robtoe’ (piogge
nere), che coincide all'incirca ad Agosto, fosse un mese sfortunato. Per questa ragione essi non vogliono effettuare certe cerimonie o iniziare nuovi progetti in questo mese. Erano poste
restrizioni in tutte le feste religiose e nelle cerimonie tenute per la guerra, iniziazione o raccolti.
Il ‘kutunisiet’, la cerimonia principale del matrimonio, non era effettuata, ma altri sposalizi e fidanzamenti erano permessi.
I Kipsigi, sono anche conosciuti come i ‘Lumbwa’ (nome d'origine Maasai) e hanno in comune la lingua e i costumi con altre tribù del gruppo Nilo-Kamitico.
Il folklore dei ‘Kipsigi è uguale a quello dei Nandi, Tugen, Keiyo e Marakwet, che una volta erano una sola tribù. Essi hanno strette relazioni con i Nandi, si sposano persino tra loro e prendono
parte alle loro cerimonie d’iniziazione quando il loro costume non lo permette, perché il periodo non è conveniente. La punizione per ‘rumisiet’, l’uccisione di una persona della tribù, era
insolita nella sua severità, che dipendeva principalmente dal fatto se l’uccisore aveva fatto scorrere il sangue o no, più che se fosse stato fatto intenzionalmente.
Un assassino che aveva ucciso una persona della propria tribù, era considerato permanentemente sporco. La sua sporcizia (ngwanindo) gli impediva di associarsi con altre persone. L’ostracismo era
molto pesante nei primi quattro giorni dall'uccisione, il ‘rumindet’ (uccisore), non poteva entrare in nessuna casa, neanche la propria, ed era costretto a vivere nella foresta. Non poteva
perfino camminare, poiché non gli era permesso calpestare l’erba, non poteva parlare con nessuno eccetto un altro ‘rumindet’. Non poteva usare utensili, bere latte, mangiare carne o coltivare
vegetali.
Il quarto giorno, la sua testa era rasata e cosparsa del sangue di una pecora o di una capra sacrificata per l’occasione, con una cerimonia che lo ripuliva abbastanza da permettergli di rientrare
in casa sua e parlare con i propri figli, ma non poteva alzare mai la voce e alcune restrizioni sull'alimentazione restavano. Il marchio poteva essere completamente rimosso se uccideva in guerra
quattro nemici uomini e una donna, normalmente una vecchia, perché era costume non uccidere giovani donne.
Curiosamente, se una persona era bruciata o moriva a seguito delle bruciature, nessuno era punito o incolpato, o quantunque ci poteva essere compensazione.
Gli antropologi credono che ci sia qualche attinenza con un leggendario incidente, dove persone anziane rimasero uccise nell'incendio di una foresta da parte di giovani guerrieri durante una
migrazione. Per la stessa ragione non si può bruciare una casa, abitabile o no, sotto ogni circostanza, perfino per punizioni o vendette.
In seri casi di furti o magie, la ‘mob justice’ (giustizia della folla) era amministrata da un ‘njoget’ (punitore della folla arrabbiata) il quale demoliva la casa del colpevole e disperdeva le
sue cose a beneficio della folla.
Lo ‘njoget’ era composto abitualmente di donne, eccetto nei casi d'esecuzione capitale, dove erano soltanto gli uomini a decidere, i quali per eseguire la sentenza usavano piccoli bastoni
acuminati chiamati ‘mosigisik’ (letteralmente ‘no di nascita’).
I costumi Kipsigi considerano cattiva abitudine mostrare eccessive emozioni o curiosità. Per esempio è considerato sconveniente mostrare ogni tipo d'affetto alla presenza d'altri adulti. Un uomo
non può avere atteggiamenti affettuosi nei confronti della fidanzata, o moglie, alla presenza di persone per le quali deve riguardo. Si afferma anche che se un uomo tiene la mano della moglie
deve lasciarla immediatamente se un altro adulto è in vista, anche a cento metri di distanza.
I partecipanti ad un funerale, non effettuano cerimonie, soltanto silenziosa afflizione. Subito dopo la morte, il parente più prossimo, normalmente la madre, la moglie o la sorella del defunto,
geme forte fuori della capanna del morto per far sapere a tutti che lì c’è un deceduto. Dopo, soltanto afflizione silenziosa.
Il nome del defunto non è più pronunciato, ma ci si riferisce a lui, in ogni occasione, come ‘chichigonye’, ‘la persona di ieri’.
I Kisii, una popolazione parlante Bantu, anche chiamata Gusii, occupa quella che è considerata la
terra più fertile e fornita di acqua del Kenya, posizionata sull'altopiano Kisii 50 km a Est del lago Vittoria. L'altopiano situato a circa 2.000 metri slm, con le sue colline e ripide gole è
anche una delle aree più densamente popolate del paese, con una media di circa 500 persone a kmq, con un picco di oltre 700 registrato nel 1989, ma probabilmente molto più alto ora, negli anni
2000.
Gusii è il riferimento affezionato alla loro patria e Mogusii è culturalmente identificato come il loro fondatore e patriarca.
Prima che scoppiasse la devastante diffusione dell’AIDS nell'Ovest del Kenya, i Gusii avevano avuto una delle più grandi crescite demografiche del mondo. L’effetto di tutto questo, non sorprende,
è stata una crescita molto lontana dall'essere pacifica.
La città di Kisii è ora la seconda in Kenya per violenza, dopo Nairobi.
Esempi di giustizia popolare con il linciaggio di ‘sospetti stregoni’ è aumentato vertiginosamente negli anni ’90, e il grado di disoccupazione rimane il più alto del Paese.
La loro storia non è stata mai pacifica, essendo una sfortunata litania di lotte violente con nemici ancora più violenti ed aggressivi: i Luo ed i Maasai.
In un modo o nell'altro, nonostante secoli di lotte con la forza delle armi, si sono sparpagliati in tutto l’Ovest del Kenya, rimanendo intatti nella loro identità e coesione sociale.
Probabilmente, come qualcuno afferma, questi problemi sono il risultato dei Gusii di oggi, il più affascinante, aperto e amichevole popolo che si possa incontrare attraversando il Kenya.
Conosciuti anche come Gusii, Abagusii, Kisii, Kosova, Ekegusii, essi sono differenti dai Kisii della Tanzania. Il nome sembra provenire da Gwassi, che è una località sulle rive del lago
Vittoria.
Il loro gruppo etnico è quello dei Bantu dell’Ovest, Niger-Congo, Atlantic-Congo, Volta-Congo, Benue-Congo, Bantu del Sud. Con l’eccezione dei loro vicini Kuria, sono ora isolati dalle altre
tribù parlanti lingua Bantu. I loro vicini sono: Luo, Kipsigis, Nandi, Maasai, Kuria, Suba.
Nel 1994 erano circa 1.600.000. La loro regione è la più densamente popolata del Kenya ed i Gusii costituiscono il sesto gruppo etnico del Paese dopo i Luo, raggiungendo il 6,5% della
popolazione.
Il loro territorio, fertile e con abbondanti piogge, è di circa 800 kmq situato oltre 2000 metri di altitudine con una media di 1.800. Sono agricoltori per eccellenza, producendo miglio, sorgo,
patate dolci, zucche ed alcune varietà di verdure. La frutta cresce in abbondanza, incluse alcune varietà esotiche per il Kenya, come mele ed arance. La pesca e la pastorizia erano praticate in
maniera considerevole prima che i Luo li spingessero sull'altopiano.
I Gusii sono anche conosciuti per la loro abilità nello scolpire la pietra saponaria. Per l’80% sono cristiani e 20% praticano le tradizionali religioni.
I Kisii o Gusii dichiarano Mogusii come loro fondatore ed hanno preso il loro nome da lui, che è stato il loro capo nella migrazione dei Bantu, risalente a circa cinque secoli fa.
L’antica popolazione Gusii entrò in Kenya dall'Uganda diretta ai piedi del Monte Elgon, di fronte alla loro terra attuale. Durante il trasferimento, per due generazioni, si fermarono a Goye Bay
sulle rive del lago Vittoria, trasferendosi poi sulle piane di Kano ed infine, spinti dai Luo e dai Maasai, nella loro attuale collocazione sin dal 1.540.
Quando raggiunsero l’altopiano i Gusii iniziarono un processo di evoluzione, dall'individuo all'unità familiare, autosufficienza, socialità interdipendente costituita da grandi entità con
distinte identità. Durante la migrazione da Kisumu, sotto differenti capi guerrieri, ci furono ulteriori sviluppi, si formarono dei sottogruppi che poi si trasformarono in clan.
Il capo famiglia era ancora responsabile delle decisioni giornaliere entro il suo appezzamento di terra, ma pian piano la capacità di comando iniziò ad emergere nelle persone più anziane ed
influenti. Clan e sottogruppi consapevoli dell’appartenenza a entità con distinte identità, furono incoraggiate con l’identificazione dei gruppi fondatori con animali-totem, leopardi, zebre
ecc..
Nel corso della loro evoluzione culturale i Gusii sono passati attraverso grandi cambiamenti ambientali, economici ecc., ma ancora certi aspetti del passato persistono.
I bambini continuano ad essere iniziati all'età adulta ed ai Gusii come gruppo con la circoncisione e la clitoridectomia.
L’arte di intrecciare cesti o lavorare la ceramica sono comuni tra i Gusii, come la costruzione di strumenti musicali, essendo stati influenzati dai Luo molte generazioni fa. In generale la
cultura Gusii è una miscela dei loro antenati Bantu, dei Luo, dei Maasai e dei Kipsigis.
Sono circa 100.000 e vivono nel Nyanza meridionale in una zona collinosa molto fertile e piena di
corsi d'acqua. Questo permette, insieme alle abbondanti piogge, un'ottima produzione agricola. Producono piretro, caffè e tabacco.
Allevano principalmente bovini, ma non disdegnano capre e pecore che danno la possibilità di avere prodotti caseari e carne.
Negli ultimi trent'anni i villaggi di Ntimaru, Nyabasi e Taraganya sono divenuti importanti punti di scambio e di incontro e sono anche importanti centri commerciali per molte industrie
artigianali.
La circoncisione forzata, nella sottocultura urbana è ai giorni moderni una delle più curiose
pratiche in Kenya. La pratica della circoncisione non è limitata ai Luhya, perché una volta e stata anche attuata ad una donna di 70 anni di un’altra tribù!
Storie familiari e immagini di ragazzi tutti nudi ricoperti solo di fango, correnti per le strade con strisce di carne intorno al collo prima del rito, sono comuni. Sarete sorpresi di sapere che
ci sono alcune comunità Luhya che non circoncidono affatto.
Benché distinti dai loro vicini Luo, Kalenjin e Teso, i Luhya non sono un singolo, uniforme gruppo di gente, ma ne sono stimati circa 17-18 con differenti dialetti e
costumi.
La circoncisione maschile è praticata in generale, nessuno dei gruppi partecipa al rito, il quale inizia giusto prima del raccolto, durante le prime vacanze scolastiche dell'anno.
Fino a tempi recenti, la promiscuità sessuale era permessa durante le due settimane di reclusione precedenti il rito. Gli Abashisa affermano che non circoncidono i loro ragazzi, ma usano estrarre
i quattro incisivi inferiori. Contraddizioni vengono da altre fonti, alcuni dicono che gli Abatsotso circoncidono, altri dicono che sono uno dei pochi gruppi che non lo fanno, gli Abawanga si
afferma che circoncidano soltanto il figlio più grande.
Qualunque fosse la contraddizione, essere non circoncisi, non porta al ridicolo o impediva nel passato il matrimonio. Nessun gruppo Luhya, con I'eccezione degli Abatachoni, ha mai praticato la
circoncisione femminile o ogni altra forma di iniziazione femminile.
Tra i Luhya dell'Ovest, è possibile non solo ereditare la moglie del fratello (okhukerama), ma anche sposare la sorella o la cugina di una moglie, con lei in vita o dopo morta (eshibeyo).
C'è un certo numero di usanze, non rasarsi la testa o spazzare la casa di notte, o altre di più
grande importanza, togliersi sei denti all'iniziazione, che si sono perse con i tempi, ma un buon numero d’unici costumi Luo sono ancora in vigore.
Alcuni affermano che se il fratello più anziano non ha costruito la casa sul terreno del padre, il fratello più giovane non può vivere in nessuna delle case che la famiglia ha costruito o
comprato, ma può soltanto affittarla fino a che non ne abbia costruita una per se.
Quando il fratello più giovane si sposa prima dei più anziani, sua moglie non può cucinare per loro, e lui non può mangiare lo stesso piatto di 'ugali' (polenta) con loro. Quando lui (il giovane)
erige la sua casa nel proprio terreno prima dei fratelli anziani, essi non possono entrare prima che lui sia morto.
I Luo sono meglio conosciuti per i loro costumi riguardanti la morte, ma perfino questi sono cambiati con i tempi.
Nel passato, mentre si addoloravano per un marito o un figlio morto, alle mogli era concesso di piangere continuamente mentre andavano al lavoro anche per tre o quattro mesi, se lo
desideravano.
Non tutti i costumi impegnano seri tabù. Il matrimonio per esempio, ha interessanti pratiche. Il costume per la trattativa di matrimonio è mandare un ghiottone ingordo, un uomo dalla lingua
sciolta, un'intermediaria e una persona elegantemente vestita.
Il ghiottone è una precauzione perché se la trattativa fallisce e così il matrimonio e c'è una richiesta di dote, le spese avute per intrattenere le persone, saranno probabilmente alte. Il
parlatore e l'uomo elegante rappresenteranno molto bene lo sposo alla famiglia della ragazza, e l'intermediaria. normalmente una zia di una delle due famiglie, cercherà di raggiungere lo scopo
per tutto il tempo che il complicato costume richiederà.
Una pratica che molti sarebbero contenti di vedere, è il cerimoniale di bastonatura della futura sposa, quando lo sposo viene a prenderla per sposarla.
I parenti dell'uomo sposato non possono dormire nella sua casa finché il padre è vivo. Soltanto quando il vecchio sarà morto l'anziana madre potrà dormire sotto lo stesso tetto del figlio. I
suoceri non possono dormire nella casa del genero, in nessuna circostanza. Questo è un costume comune a molte tribù in Kenya.
Precedentemente abbiamo menzionato la pratica del ‘meko’, dove una ragazza è prelevata (rapita) dalla capanna della nonna (siwinde) prima del matrimonio. A quest’incursione per la futura sposa, è
normalmente unito un cerimoniale di lotta con dei bastoni, mentre la ragazza si dibatte e grida nella maniera richiesta da costume (tuongo bunge).
Il matrimonio non è permesso tra due primogeniti (kayo) e ultimi nati (chogo).
Ci sono molte altre restrizioni che prevengono il ‘meko’, ma la più interessante è quella che può essere usata dalla futura sposa. Se la ragazza veramente non vuole andare al party
dell’incursione, ci sono molti modi con i quali lei può far intendere ai partecipanti che la sua riluttanza è vera. Può prendere una manciata di mele o abbracciare una pianta d'Euforbia (bondo) o
arrampicarsi su un termitaio e continuare a piangere mentre guarda il suo villaggio. In alternativa lei può prendere un po' di terra e mettersela in bocca o tirarla ai suoi rapitori. In ognuno di
questi casi il ‘meko’ si fermerà e il ‘jagam’ (andate insieme), conosciuto anche come ‘jatelo’ o ‘jawayo’, cercherà di trovare le cause dell’obiezione. Per chiudere la faccenda oltre ogni
ulteriore discussione, la ragazza può rifugiarsi in una capanna a lutto.
Una ragazza che adotta uno qualsiasi di questi metodi per fermare il ‘meko’, porterà per tutta la vita il marchio per quello che ha fatto. Non potrà più sposarsi con questo rito e così anche le
figlie e le nipoti, invece potrà fuggire da sola al villaggio del futuro marito (por).
Il rapimento non è sempre inatteso. In una vecchia usanza, una donna imparentata con il futuro sposo e la ragazza, potrebbero andare dalla nonna della futura sposa per chiedere se un ‘meko’ è in
atto e corromperla (chulo dhoge bor) letteralmente ‘mettere del grasso in bocca'. Non è insolito ai nostri giorni ascoltare i Luo, per i moderni metodi di corruzione, chiedere 'ere bor'? Dov'è il
grasso?
La lotta con i bastoni durante il ‘meko’ normalmente non causa ferite, ma in rare occasioni può finire con la morte.
Nel caso che il deceduto sia del gruppo della ragazza, i piani di matrimonio sono accantonati immediatamente e qualcuno della stirpe della ragazza (libamba), sposerà qualcuno del gruppo che ha
ucciso, questo per mantenere la pace tra i due clan. Se uno dei partecipanti all'incursione è ucciso, la ragazza è obbligata a sposarsi.
La deflorazione della sposa (ringre nyako), la parte più importante degli sposalizi, era effettuata davanti a quattro testimoni che si trovavano nella capanna. Oggi si limitano a controllare il
letto il mattino dopo. Abitualmente se i testimoni non sono presenti, la ragazza è considerata vergine.
Se una ragazza muore vergine, una vecchia donna è assunta per deflorare il corpo, per evitare che lo spirito della ragazza torni e si vendichi.
Una cerimonia simile è effettuata anche per una donna vedova morta prima di risposarsi, inoltre se lei è considerata ‘troppo esperta’ per essere deflorata da una donna anziana, un uomo chiamato
‘jakowiny’ è pagato per prestare la sua opera.
Un bambino sperduto trovato a girovagare è allevato come gli altri (misumba o misumba mocham). È assegnato a una donna sposata sterile (migumba) e lei può trattarlo come se fosse il suo vero
figlio, ma nelle dispute lui è svantaggiato socialmente, poiché è associato a una sorta di stigma dato ai figli illegittimi (kimirwa).
Non soltanto le donne sterili sono qualificate per allevare un trovatello, ma anche quelle che non hanno partorito un figlio maschio sono considerate ‘migumba’.
Ad una donna Maasai è permesso avere relazioni sessuali prima del matrimonio e mantenerli con i suoi
innamorati perfino dopo.
Questo avviene perché ad un guerriero (moran), è permesso avere molte ragazze tra quelle non ancora circoncise, d'età compresa tra i nove e i 13 anni che non hanno ancora avuto il ciclo
mestruale. Dato che molte delle ragazze sono troppo giovani per avere relazioni sessuali, i guerrieri hanno intimità con loro in altri modi.
Tradizionalmente, ad una ragazza Maasai è permesso avere tre amanti tra i morans, uno spasimante, al quale lei prepara il latte, un sostituto, che occupa il posto del primo quando non è
disponibile, ed un terzo che sostituisce gli altri due quando non sono presenti.
Le ragazze sono normalmente iniziate alla prima mestruazione, e lasciano i loro guerrieri per sposare uomini che hanno di solito il doppio della loro età. Il matrimonio di una ragazza è
organizzato dal padre perfino prima che lei nasca, gli uomini si sposano quando sono nell'età matura, all'incirca quando sono vicini alla trentina o anche più grandi, quando hanno passato il loro
periodo di moran, perché devono crearsi un benessere prima di sposarsi e questo solitamente richiede anni.
La ragazza che lascia la casa paterna per quella dello sposo, è benedetta dal padre, il quale sputa un sorso di latte sotto il suo collare e l'avverte di non guardare indietro o altrimenti
diventerà di pietra. Lo sposo va avanti per assicurarsi che il cammino sia sicuro e senza ostacoli. All'entrata della proprietà del marito è accolta dalle sue parenti strette, che la
accoglieranno tirandole dello sterco di vacca e insultandola, in genere per la sua altezza, che è un punto d'orgoglio per i Maasai. Il motivo di ciò è mettere alla prova la sua perseveranza di
fronte alle avversità della vita.
Durante l'iniziazione (eunoto), il cerimoniale 'osing(h)ira' è officiato da 49 madri dei più valorosi morans. Nessun moran, che abbia dormito con una donna circoncisa può entrare nella
capanna.
Il culmine del cerimoniale di quattro giorni si raggiunge nel terzo, con la corsa intorno l'osing(h)ira da parte dei morans che corrono alle 'manyattas' insieme con le loro madri e fidanzate.
Durante la corsa intorno alle manyattas il loro eccitamento si innalza ad ogni giro, fino a che cadono a terra in uno stato chiamato 'emboshona', schiumando dalla bocca e perdendo il controllo
delle loro azioni. Non appena l'iniziato si è ripreso, va a cacciare piccoli uccelli con arco e frecce, rimuove le viscere di ognuno e li riempie con cenere ed erba secca per farne un copricapo.
Soltanto quelli che hanno sopportato stoicamente il dolore della circoncisione, hanno il diritto di portare questo copricapo.
Quelli che hanno ucciso un leone hanno un copricapo fatto con la sua criniera. L'iniziato rincorre le giovani ragazze e le colpisce con piccoli colpi di freccia, ogni volta che una ragazza è
colpita, deve dargli un anello di perline che lui porterà al suo dito o in un cerchietto posto sulla testa. Più anelli accumulano e maggiormente saranno ammirati dal loro gruppo d'età.
Vedi anche Tribù Masai
Sono un altro gruppo Kalenjin della Keryo Valley e delle colline Cherangani e il loro centro amministrativo e Iten.
La Keryo Valley fino a poco tempo fa era infestata da zanzare e mosche tse tse, inoltre era anche la strada naturale per la rotta nord sud per le tribù razziatrici. Per questo motivo si
trasferirono su una scarpata a 3.700 metri d'altitudine nella zona occidentale.
Un terreno impervio come quello scelto, limita molto le possibilità di allevamento, nonostante ciò il numero dei capi aumenta costantemente.
Le colture che crescono lungo la scarpata sono irrigate con un sistema di piccoli canali costruiti 400 ani fa. Questi canali sono controllati e conservati dalla comunità.
Le coltivazioni producono mais, banane, sorgo e dagussà (miglio indiano), sono anche dei bravi apicoltori.
Questa tribù di circa 60.000 elementi, occupano circa 2.000 kmq di arida savana ad acacie spinose,
limitata dai fiumi Thika e Tana. Vivono nel Distretto di Embu e condividono la cultura con gli Embu.
Sono esperti fabbri, ricavano il materiale ferroso dalle sabbie alluvionali della zona di Kithunthiiri. Nelle loro officine, con semplici mantici di pelle, rudimentali martelli, scalpelli e
pinze, creano frecce, lance, asce e coltelli oltre che catene, campane e orecchini per uomo e donne.
Popolo amante dei canti, sono anche degli ottimi percussionisti e danzatori.
I Meru sono gente Bantu che vive ai pendii del Monte Kenya, la loro terra è chiamata anche Meru ed è
divisa in tre parti: Meru, Nyambene, e Tharaka-Nithi. La popolazione Meru rappresenta il 6% della popolazione totale del Kenya.
La storia Meru abbraccia circa 300 anni e ci sono due leggende che iniziano da differenti segmenti della storia Meru, uno inizia dal Nord e l’altro dall’Est.
Alcuni identificano Mbwa con l’isola di Manda vicino Lamu per le origini del Nord, le origini dall'Est invece indicano una migrazione proveniente dalla Costa verso l’Ovest. Quest’ultima ipotesi
mette in relazione i Meru con altre popolazioni, come i Giriama ed i Pokomo. La storia Meru ci ribadisce che si stabilirono in una località chiamata Mbwa e come gli antenati vennero catturati
dagli Nhuuntune e tenuti in cattività nell'isola che porta lo stesso nome.
Le condizioni dell’isola erano intollerabili e così i Meru decisero di trasferirsi. Quando arrivò il giorno della partenza si racconta che una striscia di sabbia emerse dal mare per permettere il
loro passaggio, si fermarono per qualche tempo nel bacino del fiume Tana, ma vennero cacciati dalle ostilità degli arabi, quindi seguirono una rotta che li portò alle colline di Marsabit.
I Meru sono di origini miste e studi recenti sulla loro storia dimostrano che sono di origini cushite mescolatisi poi con altri gruppi Bantu arrivati in vari momenti storici, sono imparentati ai
Chuka ma condividono molte similarità con gli Embu ed i Kikuyu, parlano almeno sei o sette dialetti differenti. Le differenze nei dialetti rispecchiano le origini ed influenze Bantu dei Cushiti e
Nilotici.
La tradizione della circoncisione è molto severa ed impone, dopo averla subita di non avere contatti con la madre per i ragazzi e con il padre per le ragazze. Ai ragazzi viene costruita una
capanna per loro ed il cibo viene lasciato sulla porta d’ingresso.
Tradizionalmente i Meru credono in Mugwe che è il loro Profeta e padre spirituale ed è consultato quando hanno un problema al quale non riescono a trovare una soluzione. Hanno una forte base
educativa, che si evidenzia con la presenza di scuole missionarie cristiane e considerano la frequentazione della Chiesa più un fatto culturale che spirituale.
I Meru sono agricoltori ed allevano anche qualche animale, il territorio Meru è famoso per l’alta produzione di Miraa, un’erba con proprietà eccitanti, ma producono anche caffè, patate, grano,
mais e allevano api per il miele.
La comunità Meru è governata dal gruppo degli anziani.
I Mijikenda sono spesso chiamati collettivamente Nyika (plurale: WaNyika), sono 9 gruppi bantu
dell'entroterra costiero: Giriama, Digo, Duruma, Chonyi, Jibana, Ribe, Kambe, Rabai e i Kauma, per un totale complessivo di oltre un milione.
La tradizione racconta che, tra la fine del XVI e l'inizio del XVII secolo, un'invasione di Oromo da Nord li obbligò ad allontanarsi dall'entroterra etiopico per riparare in villaggi sulle
colline sud orientali nell'odierno Kenya.
(Vedi anche Tribù Mijikenda)
I Mijikenda furono in grado di dominare il commercio con le tribù vicine, ma questi rapporti portarono allo spostamento dei Mijikenda dai vecchi villaggi in collina alla zona costiera.
Il turismo ha accelerato notevolmente lo sviluppo della Costa. Nelle aree più aride dell'entroterra costiero sono sorti ranch gestiti in cooperativa al fine di soddisfare la richiesta di prodotti
freschi da parte degli alberghi.
I costumi, le tradizioni ed il folklore dei Nandi è simile a quello dei Kipsigis, Tugen, Keiyo e Marakwet, che una volta erano una sola tribù.
Linciaggi pubblici, conosciuti come 'Mob Justice', non erano totalmente sconosciuti nella cultura Africana. Dove questo era praticato, era considerato una forma legittima d'esecuzione dopo un
processo legale effettuato sotto le leggi del costume.
Uccidere qualcuno, perfino un criminale preso sul fatto, senza ricorrere a qualsiasi legge tribale in uso, era abitualmente punito con il pagamento di qualche multa o un versamento di sangue. La
cosa curiosa di questa forma di punizione, era il coinvolgimento dei parenti più prossimi del condannato nell'esecuzione della condanna. Era previsto anche che il padre del colpevole desse una
corda al figlio e gli dicesse di impiccarsi.
Tra i Nandi, il condannato era impiccato ad un albero e fatto oscillare da una parte all'altra dai parenti più stretti, mentre gli spettatori lo colpivano con pietre e bastoni.
Una volta descritta come una repubblica di pastori militari, i Nandi, hanno avuto molti dei loro costumi influenzati da altre tribù con similari modi di vita.
Alcune pratiche, come l’iniziazione per gli uomini e le donne, o il pagamento del prezzo della sposa, erano prese a prestito da altri gruppi etnici, principalmente Maasai e dopo sparsi tra le
altre tribù parlanti la lingua Nandi, come gli Elgeyo, Marakwet e Kamasia.
Molti sono i cambiamenti dovuti all'influenza dell’occidente. C’era un tempo quando un uomo o una donna Nandi, non si rivolgevano ad un’altra persona senza averla salutata prima.
Non era perfino accettato di guardare direttamente una persona più anziana durante una conversazione.
Ci sono ancora delle usanze che il tempo ha cambiato o eliminato totalmente.
Una volta non era difficile vedere un ragazzo di tredici anni sposato ad una donna più grande di lui, se lui era il solo figlio in casa.
Mentre la circoncisione è effettuata ogni dodici-quindici anni, creando gruppi d'età, come nelle altre tribù, un ragazzo non può essere iniziato al gruppo di età dopo suo padre. Per questa
ragione l’età di un iniziando, può variare dai dieci anni e spingersi fino ai venti-venticinque, variando così anche l’età alla quale lui può prendere moglie.
Come i Pokot, i Nandi credono negli spiriti ancestrali, i quali risiedono nei loro bambini nati dopo la loro morte, ma il loro modo di credere è troppo vago perché sia visto come una
reincarnazione.
Non è raro credere che uno spirito sia condiviso tra più bambini. Lo spirito è invitato ad entrare nel bambino dal ’Guerset’, una cerimonia effettuata durante la nascita.
Se uno spirito era stato maltratto o trascurato nell'età avanzata, potrebbe rifiutarsi di entrare nel bambino pacificamente, il fatto è indicato dalle malattie del bambino stesso.
Poteva essere pacificato con la consacrazione di una capra, che rimaneva proprietà del bambino e mai uccisa.
Se un uomo moriva senza aver avuto un figlio, a sua moglie era permesso di ‘sposare’ una ragazza per partorire i suoi eredi per lei, lui poteva chiamare gli spiriti di suo padre per entrare nel
bambino di un parente stretto, ma questo non poteva ereditare la sua proprietà. Questo matrimonio era chiamato 'Kelal matab orenwa' (riaccendere il fuoco del clan), necessario perché una vedova
non poteva risposare. Lei era considerata responsabilità dell’immediato fratello giovane del morto, attraverso un ordinamento d'eredità, simile a quello d'altri gruppi etnici (Vedi Luhya). Lei ha
la possibilità di tornare a vivere con i parenti o di vivere sola con i suoi figli.
L’ammontare del prezzo della sposa (Kanjiok) varia leggermente da clan a clan, ma prima era fisso e non era soggetto a transazione, era considerata la stessa cifra sia la ragazza fosse vergine o
no e se aveva avuto figli prima del matrimonio e perfino prima della sua iniziazione, infatti, la sola limitazione per una ragazza che aveva fatto queste cose era che non poteva mai essere una
'‘prima moglie'’.
Ai tempi d'oggi, il prezzo di una moglie è salito considerevolmente per la ricchezza più individuale che comune, ma alcuni dei dettagli che prima erano trascurati o nascosto, oggi sono
controllati attentamente.
Questa popolazione parla la lingua Maa dei Maasai e dei Samburu e molto probabilmente sono
consanguinei.
La controversia è se sono Samburu o Maasai di Laikipia.
Vivono intorno al lago Baringo e sono degli agricoltori sedentari, sono classificati come Nilotici dei Piani. Sono usi fornire carovane al Congo ed all'Uganda e la loro agricoltura è ben
sviluppata, inoltre pescano per integrare la loro dieta.
Le loro piccole imbarcazioni sono costruite con arbusti lacustri e sono usate per portare piccoli carichi attraverso le acque del lago.
La circoncisione, come quella Maasai, conserva il sistema dei Guerrieri Moran, i loro abbigliamenti e gli ornamenti, ma sono radicalmente differenti in quanto a tradizioni, poiché sono
coltivatori, mangiano pesce e fanno commerci.
Sono pochi di numero, ma sono i più comuni tra i cultori Maasai.
Mettere in rilievo l’unico costume di un gruppo etnico in poche righe è un compito difficile, farlo
per una tribù composta di un gruppo così sparpagliato e così differentemente influenzato come gli Ogiek od Okiek sono, è quasi impossibile. Inoltre nessuno mai ha tentato di farlo, quindi noi
consideriamo la loro non comune posizione come patrimonio culturale del Kenya.
I cacciatori e i raccoglitori di legna del Kenya hanno la tendenza ad essere inseriti sotto il termine 'Dorobo' o anche 'Ndorobo' in generale, anche a dispetto della loro differenza etnica. Come
risultato, la popolazione ha usato il termine ‘Dorobo’ per descrivere gruppi più disparati, come gli Arangulu, Asa, El Molo e Boni Saye. Sembra che essi siano un gruppo conosciuto con nomi
differenti, 'Warta' dai Boran, 'Ogiek' dai Nandi e così via. Anche dovuto alla loro assimilazione dalle tribù vicine, i Dorobo hanno sviluppato culture inseparabili dai loro più stabili vicini,
rendendo difficile stabilire la loro identità, ad esempio i Sulei-Dorobo nel nord del Kenya che erano una volta strettamente correlati ai Laikipia-Maasai e ora condividono tratti culturali con i
Samburu, sono attualmente Ogiek.
Precisamente la parola dorobo viene dalla lingua Maa, Il Torobo, usato per riferirsi a gente che non ha bestiame, quindi senza ricchezza. Persino gli Ogiek, quando parlano in Maa si riferiscono a
loro stessi con Il Torobo.
Nella lingua Kalenjin essi normalmente identificano se stessi per il loro gruppo locale, ad esempio ‘Cherenganyi’, ’Sulei’, ‘Omotik’ ecc.
Dato l’assai diffuso uso della lingua Maa, per il commercio, è comprensibile che il termine potrebbe arrivare a comprendere questi disparati gruppi di gente.
Alcuni antropologi ritengono che i pescatori El Molo del lago Turkana, un gruppo con costumi e lingue Maa, siano Ogiek. Inoltre questi comprendono oltre trenta gruppi differenti che parlano
normalmente Maasai o dialetto Kalenjin, come i loro vicini, che influenzano i costumi.
La collocazione dei gruppi d'età per esempio è chiamata ‘Ipinda’ (un termine Kalenjin), ma il sistema di collocazione dei gruppi di età è uguale a quello Maasai.
La loro iniziazione, sembra avere elementi di tutte e due le culture, Maasai e Kalenjin, ma sono più semplici.
Con l’eccezione di gruppi come gli El Molo, gli Omotik e i Digiri, la maggior parte vive vicino o dentro le foreste d’alta montagna per la raccolta di miele. Come risultato, essi vivono nelle
zone alte oltre i 2000 metri in gruppi isolati, perdono così conoscenza dell’esistenza degli altri. Per questo motivo essi sono anche conosciuti come ‘tribù dimenticata’.
Nel censimento, gli Ogiek, sono considerati come Boni-Sanye, l’altro grande gruppo di cacciatori e raccoglitori di legna.
Idee sbagliate sui Dorobo, specialmente gli Ogiek, abbondano soprattutto tra le tribù vicine. I Maasai li distinguono in due gruppi, gli Ogiek e gli Agumba e suppongono che vivano in buche
coperte di rami. Altre errate convinzioni popolari su di loro, sono che essi danno cani come dono di nozze, non essendo coltivatori di bestiame, si afferma anche che essi facciano questo per
motivi religiosi anziché ragioni pratiche. Si crede anche erroneamente che essi non costruiscano case o che le facciano sugli alberi, che non indossino vestiti e non cuociano i cibi, che siano
bassi come i pigmei e infine che essi stiano scomparendo come gruppo etnico, ma il censimento indica che la popolazione è in aumento.
Gli Ogiek, non sono soltanto cacciatori o raccoglitori di legna, i Digiri a Narok, parlano maasai e allevano bestiame, cacciano selvaggina e raccolgono miele selvatico. Si crede che seppelliscano
i loro morti e facciano sacrifici per loro, una pratica che altri gruppi etnici trovano strana, come i Maasai e i Kalenjin, che lasciano i loro morti in pasto alle iene. Nel clan degli Ogiek,
sono stati notati dei legami meno forti che tra gli altri gruppi etnici, un Ogiot (un Ogiek singolo), non dipende dagli anziani del suo clan per pagare un compenso per omicidio, come gli uomini
d'altre tribù.
Vedi anche Tribù Ogiek
Gli Orma sono pastori semi-nomadi, ben conosciuti per la loro altezza, il fisico asciutto e i loro
bei volti. Vivono nei deserti del Sud Est del Kenya con l’eccezione del periodo delle piogge, quando spostano le loro greggi nelle terre interne.
Gli Orma sono il residuo della potente nazione Galla d’Etiopia e Nord Kenya, essi sono legati ai Borana e ad altri gruppi Oromo. Verso la fine del diciannovesimo secolo, la guerra con i vicini
somali forzò la tribù Orma ad emigrare a Sud, alcuni si insediarono nel ricco delta del fiume Tana, altri ad Ovest del fiume. Gli Orma sono chiamati anche Galla, specialmente in Etiopia, ma loro
non si considerano così perché lo ritengono umiliante.
Questi, allevatori di bestiame e di cammelli, sono venuti in crescente conflitto con gli stanziali Pokomo. I Pokomo sono agricoltori o pescatori che vivono lungo il fiume Tana e dipendono dal
fiume e dai suoi cicli di allagamento per l'irrigazione dei loro raccolti. Gli Orma, essendo invece pastori, avevano bisogno di accesso al fiume per abbeverare le loro greggi. Ci sono stati
violenti scontri e raid di vendetta tra le due comunità etniche. Negli ultimi tempi le armi moderne hanno aumentato il numero di morti e feriti rispetto ai conflitti passati. Va considerato
altresì il fatto che gli Orma sono musulmani, mentre i Pokomo sono cristiani, più moderni ed istruiti.
Il bestiame è il basilare mezzo di sopravvivenza del popolo Orma, allevano le bianche bestie dalle lunghe corna che sono gli zebù, considerate le migliori in Africa.
Gli zebù sono usati anche per pagare il ‘prezzo’ della moglie e sono macellati in occasione di matrimoni e funerali. Sostanzialmente gli Orma vivono allevando bestiame, capre e pecore e agli
uomini che possiedono più di mille capi, sono riservati particolari riconoscimenti nelle loro comunità.
La carne è il principale alimento degli Orma, integrato dal latte e dal sangue di vacca. Mangiano inoltre mais, riso, fagioli e bevono tè. L’arida regione del Tana non è favorevole
all'agricoltura, essi hanno pochi vegetali nella loro dieta e quello che gli occorre deve essere acquistato da altre tribù. Questo non è un obiettivo facile da raggiungere, la scarsità d’acqua
spesso porta a delle lotte armate tra tribù.
Gli Orma vivono in capanne rotonde fatte di stuoie ed erba costruite dalle donne, quando la famiglia emigra con il bestiame la capanna viene smontata e caricata sulle bestie insieme ai beni
familiari. Una versione più grande di queste capanne è usata da quelli che vivono in villaggi permanenti.
Un uomo Orma normalmente ha una sola moglie, benché la poligamia sia consentita. Speciali cerimonie che durano sette giorni sono riservate alla nascita di bambini.
La madre rimane reclusa per quaranta giorni dopo il parto, poi una festa viene organizzata dalle altre donne del villaggio ed al bambino/a sono riservati altri sette giorni di feste. Se il
bambino/a è il primo nato della coppia i genitori aggiungono al nome del nuovo nato/a aba (padre) o hada (madre).
I funerali Orma sono degli eventi interessanti. I familiari del defunto si infliggono delle ferite graffiandosi il viso ed il corpo per dimostrare afflizione.
Negli Orma la linea di discendenza è patrilineare o attraverso i maschi.
La mascolinità nei comportamenti, nei rituali e nei simbolismi è consuetudine, il coraggio e l’etica guerriera sono messe in risalto. Cavalcare, tirare la lancia e lottare sono prestazioni
ammirate e quelli che hanno ucciso un animale pericoloso od un nemico sono onorati. Le donne Orma tradizionalmente sono considerate meno importanti, anche se sono loro che costruiscono le case e
le trasportano quando il gruppo si muove verso l'interno nella stagione delle piogge.
Gli Orma sono musulmani al 100% e sono così da tre o quattro generazioni, sono fedeli alla religione e seguono tutti i rituali e le feste dell’Islam. Molti Orma non hanno mai sentito pronunciare
il nome di Gesù e se lo hanno sentito è solo attraverso l’insegnamento islamico, dov'è affermato che Gesù era semplicemente un profeta, un insegnante e un buon uomo, ma non che sia il figlio di
Dio.
La religione originaria degli Orma include la credenza che il Dio Creatore sia associato al cielo. Essi riconoscono l’esistenza di molti spiriti e li associano con vari aspetti in natura, come la
cima delle montagne, alberi, boschi, fiumi e sorgenti. Queste credenze sono a quanto sembra, associate alla loro credenza islamica.
Penetrare nella religione islamica è molto difficile, quattro missioni stanno tentando di convincere gli Orma, ma al momento ci sono state soltanto quattro conversioni. Parti del Nuovo Testamento
sono disponibili nella loro lingua, ma meno del 5% di loro sa leggere e così la conoscenza delle Sacre scritture è molto limitata.
La lingua Orma è una lingua orientale etiope della famiglia Oromo. Orma è simile a Borana-Arsi-Guji (chiamato anche Borana), ma non sono mutuamente intelligibili. Alcuni Orma occidentali
comprendono anche il Borana. Più vicino alla costa molti parlano Swahili.
Gli Oromo sono oggi un gruppo etnico cushitico che si trova nel centro-sud dell'Etiopia, nel nord del
Kenya e parti della Somalia. Con 30 milioni di membri, sono attualmente il più grande gruppo etnico in Etiopia.
La loro lingua madre è l'Oromo (chiamato anche Afaan Oromoo e Oromiffa).
Il popolo Oromo è diviso in centinaia di sottogruppi. Possiedono in molti (in particolare i Borana) un sistema detto gada che ordina e governa i vari villaggi. La vita degli uomini, che
credono come in passato in un Dio assoluto chiamato Waka, viene divisa in periodi di vita di otto anni ciascuno. La comunità viene governata da gente del gruppo tre e quattro, quindi dai
ventiquattro e trentadue anni. L’ordine cosmico mantenuto dal Dio Waka è rappresentato da tre colori che fa pensare allo Yin Yang di tipo orientale.
Gli Oromo hanno solo una moglie. Per questa gente la famiglia è importante e tutti i membri della stessa devono obbedire al capofamiglia che è colui che detiene il potere assoluto. Inoltre, avere
figli è motivo di orgoglio, così come avere nipoti, e più membri ci sono maggior è il prestigio della famiglia. Tutto ciò può risultare una bella cosa, il problema è che gli Oromo sono persone
estremamente povere.
Oggi gli Oromo vivono nelle zone più alte dell’Etiopia e quindi i loro villaggi sono situati in zone con una meravigliosa vegetazione. Questi villaggi sono composti da tipiche case
africane.
Le case degli Oromo sono capanne circolari costruite con rami e fango, non molto resistenti ma sufficienti per ripararsi dalla pioggia e dal freddo. Come in quasi tutta l’Africa, gli Oromo stanno
fuori tutto il giorno, quindi le case vengono utilizzate solo per dormire. Ad ogni famiglia viene destinata una zona precisa dove può costruire tutte le abitazioni necessari per i suoi membri. Le
capanne sono di tre tipi: una circolare col tetto spiovente, un’altra dello stesso tipo circolare ma con il tetto più piatto e sporgente, la terza è fatta a cupola con le travi che da terra
partono e in un blocco unico vanno a formare anche il tetto. Questo popolo vive allevando una scarsa quantità di vacche. A volte hanno anche un piccolo orto a uso domestico. Una delle cose più
caratteristiche sono i loro vestiti: vista l’altezza del luogo, fa freddo soprattutto di notte, perciò approfittano di qualsiasi pezzo di tela colorata per coprirsi dalla testa ai piedi. Le donne
si occupano delle faccende quotidiane: andare a prendere la legna, portare acqua, crescere i figli, preparare il fuoco e far da mangiare. È facile quindi vedere le donne, correre da un parte
all'altra, e gli uomini riposare e chiacchierare in pace.
Recentemente è circolata la notizia della scoperta di una tribù sconosciuta chiamata ‘Munyo Yaya’.
Certamente non è vero, perché uno dei misteri rimasti è soltanto quello delle classificazioni tribali; è veramente molto difficile credere che ai giorni nostri ci sia ancora una tribù
sconosciuta.
I ‘Munyo Yaya’, sono una delle quattro sotto-tribù o alleanze di clan (vyeti) dei Pokomo, in quanto le altre sono i Pokomo superiori, inferiori e Welwan. ‘Munyo Yaya’è un nome Oromo, che
significa ‘gente del nord’.
Altri Pokomo li chiamano koro koro e li accettano come Pokomo, come i Welwan, i quali vengono chiamati Malakote. Tutti e due i gruppi, Inferiori e Superiori, chiamano essi stessi Pokomo, ma si
riferiscono l’un l’altro WATU WA DZUU, approssimativamente ‘gente del nord’ e Malachiti, ‘gente del sud’.
I quattro clan (vyeti) hanno differenti identità, lingue e dialetti, ma sono parte della stessa tribù. I Pokomo’, Alti e Bassi, parlano dialetti di una lingua Bantu, imparentata al dialetto
Mijikenda e allo Swahili.
I ‘Munyo Yaya’parlano Oromo, mentre i Welwan hanno la loro propria lingua, che comprende diverse parole Oromo, ma è molto differente dai dialetti Pokomo, Oromo e Swahili che non possono capirsi
tra di loro.
I costumi dei vari Vyeti fondamentalmente sono simili, ma hanno sviluppato differenze per l’interazione con differenti gruppi tribali. Ogni sotto-tribù Pokomo ha un consiglio di anziani (wakiju)
diretto da un capo. Il potere degli anziani è rafforzato dal loro supposto possesso di una potente e misteriosa creatura che vive in un boschetto sacro (bukiko) vicino alla capitale della
sotto-tribù.
La creatura segreta chiamata Ngaji è variamente definita come un animale alato o come una ragazza con quattro gambe o una figlia di Dio.
Le voci di queste creature sono rappresentate da un grande attrito di bidoni tenuti nel boschetto sacro. La paura di queste creature e dei suoi padroni sono una potente forza motrice.
Quando all'inizio di questo secolo sorsero conflitti anche violenti sulle religioni tradizionali tra cristiani e musulmani, il gruppo islamico risolse il problema costruendo una casa per Ngaji
per fermare il conflitto.
I Pokomo Inferiori e Superiori hanno le loro cerimonie di circoncisione dei gruppi di età ogni quindici anni circa. I ragazzi sono iniziati quando hanno 14-15 anni di età e vivono in un
dormitorio comune (gane) fino all'iniziazione del gruppo successivo.
I Pokomo Superiori circoncidono, ma sotto-tribù come i Buu, Dzunza e Kalindi non lo fanno. Gli Ngatana e Kulesa circoncidono i loro maschi nell'infanzia.
Gli Inferiori non si sposano all'interno del clan o con qualsiasi discendente del nonno. Le ragazze dei Superiori sono tradizionalmente sposate entro uno o due anni dalla prima mestruazione, i
ragazzi non possono sposare prima del rilascio dal Gane (dormitorio) e questo avverrà verso i trenta anni di età.
La dote non è pagata tutta in una volta perché si crede che facendolo la ragazza diventi sterile.
Il divorzio non era conosciuto tra i Pokomo fino a che, in tempi recenti, fu portato dall'Islam.
Le differenti alleanze di clan (vyeti) hanno associazioni di uomini con cinque livelli, si è ammessi al primo e poi si sale. Il livello più alto (ngadzi), ha molti sottolivelli, il più importante
dei quali (wakiiju) è il consiglio degli anziani.
Un padre paga per l’ammissione del figlio ai primi tre livelli, ai quali il ragazzo deve entrare prima del matrimonio. La scalata sociale attraverso i vari livelli è sottolineata con una festa,
questa consiste nel pagamento della tassa di associazione, il candidato deve preparare cento vasi di riso e l’intero prodotto di un campo (shamba) o se disponibile una vacca o la carcassa di un
ippopotamo.
Un’altra associazione di uomini chiamata Wagangana (stregoni) è il più alto livello che si sovrappone a quello dello Ngadzi. Questo significa che molti Wakiiju sono membri anche della
Wagangana.
Le mogli dello Ngadzi appartengono allo Ngadzi femminile che ha due livelli.
Un padre paga l’ammissione al primo livello per la figlia e un uomo paga per la o le mogli (poligamia) al secondo livello.
Una moglie acquisisce prestigio proporzionato a quello raggiunto dal marito nello Ngadzi.
I Pokot sono un gruppo nilotico che è sceso dalla valle del Nilo verso il XV secolo, parte della
grande migrazione che ha visto i nilotici meridionali giungere nelle regioni che occupano tutt'oggi. Non esistono documenti, e le prove archeologiche sono dubbie.
La storia orale racconta che Pokot, Masai e Turkana si siano scontrati in un’epica battaglia (XVI secolo) da cui i Pokot sarebbero usciti vincitori, spingendo i Masai a sud e ad est – ma un
gruppo avrebbe raggiunto le pendici del monte Elgon dove vivono tutt'ora – e i Turkana a nord. La battaglia potrebbe essere stata combattuta nei pressi di Marich Pass, il passo che oggi divide il
territorio pokot da quello turkana. Sulla strada che porta da Kapenguria a Kacheliba si trova oggi un cumulo di sassi. La tradizione vuole che vi sia sepolto un grande guerriero che portò i Pokot
alla vittoria. Dopo la battaglia, i Pokot hanno occupato i terreni intorno all'attuale Kitale e le vallate alle pendici delle Cherengani Hills, fin al sud est Karamoja, ora in Uganda.
I coloni inglesi li espulsero dagli altopiani attorno a Kitale per impiantare le loro fattorie. Vanamente i Pokot hanno chiesto che il territorio che loro considerano ancestrale, e che è molto
fertile, venga riconsegnato loro. Agli inizi degli anni 1950, alcuni gruppi di Pokot hanno risalito le Cherengani Hills e vi si sono stabiliti lungo tutta la dorsale dando vita a notevoli centri
(Kaibichbich, Sina, ed altri). I Pokot sono praticamente divisi in due gruppi, i pastori e gli agricoltori e i primi sono i più bellicosi.
Per tre quarti sono pastori ed un quarto agricoltori. I pastori allevano le mandrie e le greggi nelle zone aride a nord del lago Baringo. Il bestiame ha un ruolo centrale nella formazione umana
dei giovani. Ogni Pokot, dopo l’iniziazione, è conosciuto con il nome del suo bue preferito. Con questo animale, scelto durante il processo di crescita, il Pokot avrà sempre un rapporto di vera
amicizia.
Sono di lingua, tradizioni e discendenza Kalenjin, benché rifiutino di essere considerati tali e di appartenere a questa tribù, vivono più a Nord dei Kalenjin ed hanno adottato anche usanze
Turkana. Un usanza dei guerrieri, in comune con questi ultimi, è quella di indossare dei bellissimi copricapo d'argilla colorata.
I Pokot hanno la cultura del bestiame, anche se coltivano. Le loro piantagioni si trovano sui fianchi delle colline
Cherangani ed in genere coltivano mais, ma anche miglio, patate e altre verdure.
Sono anche degli abili artigiani e fabbricano terrecotte e oggetti di metallo.
Usano l'irrigazione per i loro campi e gli impianti sono controllati dagli anziani. Sono le donne che si occupano delle piantagioni.
Il bestiame consiste generalmente di capre, pecore e asini, raramente cammelli.
I Pokot pastori circoncidono, gli agricoltori non hanno questa usanza, ma hanno una cerimonia per il passaggio d'età, i loro ornamenti sono molto colorati al contrario dei pastori.
La continua ricerca d'acqua li porta a scontrarsi spesso con i Turkana, con rappresaglie sanguinose d'ambio le parti.
La religione tradizionale riconosce un solo Dio, creatore, con cui i Pokot hanno un rapporto ambiguo. In alcuni riti, Dio sembra essere una presenza benevola. In altre occasioni, Dio è visto come
un avversario dell’uomo. I missionari cristiani, cattolici e protestanti, sono potuti entrare nel territorio pokot solo alla fine degli anni 1960. Prima questi distretti erano considerati dai
coloni inglesi delle riserve chiuse. Oggi, la chiesa cattolica e, in minor misura, quella evangelica, richiamano molti Pokot, anche perché scuole e ospedali hanno permesso la penetrazione dei
missionari e delle loro idee in tutto il territorio.
Tra i Rendille, le maledizioni non sono soltanto credute in vigore, ma sono tramandate da una
generazione all'altra.
Il potere di una maledizione (ibire) è dato ad un nuovo nato nel giorno della sua nascita in un rituale chiamato 'harab lanugseli', letteralmente ‘succhiarsi la lingua’. Otto oggetti che variano
da un clan all'altro, sono raccolti insieme e con questi, un uomo del clan del bambino lo colpisce leggermente ripetute volte, poi è consegnato ad un parente che lo porta nella capanna dov'è
nato.
Il bambino deve poi passare attraverso certi riti. Gli uomini del clan sputano sugli oggetti e poi li passano sulle labbra del neonato, alla fine, sputando nella sua bocca gridano il comando
‘idei aleh!' (sii come me!). Si presume che ogni clan abbia il controllo delle maledizioni con varie forze con le quali essi sono identificati.
I Rendille sono un gruppo di pastori che vivono in alcune delle zone più difficili dell’Est Africa, nonostante essi parlino un linguaggio cushitico dell’Est imparentato con il Somalo, essi non
sono musulmani. Rassomigliano ai loro vicini Samburu in molte pratiche tradizionali, nella gamma degli ornamenti o per esempio le orecchie trafitte (piercing) nelle cerimonie d'iniziazione.
I Samburu, che sono una popolazione cinque volte più numerosa, hanno avuto una forte influenza su di loro.
Gli Ariaal, una popolazione mista d’origini Samburu e Rendille, che è grande quasi quanto questi ultimi, segue i costumi dei Samburu, ma essi dicono di essere imparentati con i Rendille.
Una volta morti i Rendille sono inumati nella posizione fetale vicino alla residenza della famiglia, sotto un mucchio di pietre, terra, pezzi di legna e altri detriti. È usanza per un passante
nomade togliersi le scarpe e aggiungere pietre e bastoni trovandosi nelle vicinanze della tomba. I bambini morti invece sono seppelliti nella capanna, sotto la legna per il fuoco. Tutte le
persone morte non sono più nominate dopo i funerali.
Un costume curioso, che vale la pena raccontare, è che, un capro espiatorio (dablakabire) è preso da un gruppo d’età dagli appartenenti allo stesso per tiranneggiarlo prima della cerimonia
d’iniziazione. Le origini di questa pratica sono notate in uno dei miti Rendille, dove si afferma che alcuni ragazzi giocando nella foresta dopo che la tribù si era riunita, hanno preso uno di
loro e lo hanno deriso senza pietà. Dopo ci furono piogge abbondanti, pascoli rigogliosi, frutti a volontà e ridotte ostilità con le tribù nemiche, consentendo così ai giovani di sposarsi. Da
allora è costume che prima dei matrimoni per gruppi d'età essi debbano scegliere uno di loro e tormentarlo. Il matrimonio fa riferimento al ‘min discho’ (costruzione della casa), perché ad un
uomo non è permesso possedere una casa senza una moglie. I Rendille come gli Iteso, praticano il rituale di evitare il matrimonio fra parenti acquisiti.
L’uso di nomi personali è limitato quando qualcuno ha un rapporto o parentela con persona cui deve rispetto. Per esempio un bambino non può pronunciare il nome personale del padre o di qualunque
altra persona con lo stesso nome, ma può usare quello della madre. Mariti e mogli non pronunciano i rispettivi nomi ed evitano anche quelli dei suoceri. I mariti non pronunciano i nomi delle
suocere, le mogli possono farlo, ma normalmente usano la parola ‘amma’.
I Rendille hanno delle vedute relativamente progressiste sulle donne, diversamente da molte società africane; essi non vedono le mestruazioni come una condizione che impedisca le attività d'ogni
giorno durante il periodo.
I Rendille considerano le loro case territorio femminile. Un uomo non può mandare via la moglie se vuole parlare privatamente con altri uomini, ma deve andare in un posto dove non ci sono altre
case, o mandare la moglie a fare una commissione.
Se un matrimonio si rompe e non ci sono figli la moglie tiene la casa sempre, anche se la rottura avviene durante le trattative per il matrimonio, in questo caso tiene la casa appena costruita.
L'insolita relazione tra i clan dei Sale e degli Uraven nei Rendille, permette scambi d’insulti tra i membri del clan che possono essere considerati molto provocatori, in casi estremi può portare
al rapimento di ragazze, ma non consente di rapire donne sposate oppure quelle vicine al matrimonio.
Le tribù dei Bok, Bongomek, Kony e dei Sebei di lingua kalenjin, sono chiamate collettivamente
Sabaot.
I Bok, i Bongomek e i Sebei vivevano sull'altopiano Uasin Gishu prima di essere costretti a spostarsi verso Ovest, lungo i pendii del monte Elgon. Le loro donne ed i bambini venivano rapiti dai
Pokot dai Karamajong e dai Nandi.
Sono divenuti agricoltori, ma ancora oggi allevano bestiame e possiedono numerosissimi capi di bovini, capre e pecore.
Recentemente con l'introduzione dell'aratro a buoi e del mais, sono ritornati alle fertili pianure dell'altopiano. Oltre ai tradizionali prodotti, mais, dagussà (miglio indiano), miglio, sorgo e
banane, coltivano oggi anche una vasta gamma di prodotti ortofrutticoli da commerciare, canna da zucchero, piretro e caffè.
I Sabaot hanno beneficiato delle moderne tecniche di coltivazione e allevamento.
I Sakuye sono la popolazione più piccola tra quelle parlanti la lingua Galla, generalmente essi
abitano la regione di Moyale e la loro principale economia è basata sui cammelli e le capre. I circa 13.000 Sakuye vivono nel Nord Est del Kenya, vicino al confine con l’Etiopia. Sono un gruppo
di piccoli pastori semi nomadi che pascolano capre e cammelli.
Il loro nome deriva da un vecchio nome della città di Marsabit, Saaku. Il gruppo dei Rendille che si spostarono a Nord da Marsabit vennero chiamati Saakuye dai Borana.
Dopo l’indipendenza del Kenya nel 1963, quasi tutto il loro bestiame morì a causa del conflitto tra il Governo del Kenya ed i Somali, i quali attraversavano il confine ed attaccavano le
popolazioni lì residenti. I Sakuye furono presi nel mezzo e molti di loro divennero disagiati. Alcuni di essi furono capaci di ricostituire i loro greggi, ma molti di loro rimasero poveri,
sopravvivendo di agricoltura, ma le aride condizioni dell’area, resero tutto molto difficile. Il loro stile di vita cambiò e si sforzarono di mantenere la loro identità.
Perfino le loro credenze religiose cambiarono e i loro rituali Sakuye furono rimpiazzati dalle preghiere islamiche. La cultura ed il vuoto spirituale risultante da questi fondamentali cambiamenti
di vita può essere una porta aperta per una dottrina di pace.
Oggi ci sono due sezioni di Sakuye che vivono in due aree, il gruppo semi permanente del Nord a Dabel ed il gruppo del Sud insediato ad Isiolo. La struttura e le tradizioni del clan non sono più
importanti come in passato. La maggioranza non sa leggere e parlano solo Borana, si identificano come tali e mantengono legami sociali con i somali. Perfino gli insegnanti musulmani non sanno
leggere nonostante vogliano imparare. Gli scolari stanno imparando a leggere, molte famiglie vivono con i sussidi, ma i più fortunati sono quelli che hanno bestiame proprio.
Molti gruppi etnici in Kenya hanno alcuni tipi di matrimonio forzato, dove la sposa è rapita dagli
amici dello sposo e fatta sposare dal padre contro la sua volontà. I Samburu hanno un modo ancora più inconsueto di matrimonio forzato, perfino quando sia la futura sposa che suo padre non sono
d’accordo.
In molti metodi inconsueti, chiamati Siamu, i membri del clan sono chiamati per un incontro segreto da un ordine rafforzato da una maledizione. Gli anziani poi raccolgono la legna e vanno a casa
del padre della ragazza, si siedono per molte ore in gruppo fuori del terreno antistante la capanna, rifiutandosi di entrare e di mangiare qualcosa, i loro capi coperti da lenzuoli. Essi possono
rimanere così fino a che il padre non dà il consenso al matrimonio, di solito lo dà, grazie alla pressione esercitata dagli uomini del clan e per evitare una maledizione dello stesso.
Questo metodo era usato per maritare uomini che supponevano d’essere vittime di una maledizione, quelli disabili e in una occasione perfino un ragazzo castrato dai Boran.
Questi matrimoni erano rari, ma si ricorreva a tale metodo quando la reputazione del clan era messa in pericolo per la difficoltà di un uomo ad ottenere una moglie, o a conservarla. In un altro
metodo chiamato ‘Nkunon’,
uno sposo con i suoi amici poteva andare di notte a casa della ragazza ed effettuare due rituali di matrimonio (macellando un toro da cerimonia e portare una pecora alla capanna della ragazza
circoncisa), questo confermava il matrimonio.
Dato che il rito poteva avvenire soltanto per una ragazza circoncisa, molti Samburu circoncidevano le loro soltanto il giorno del matrimonio per evitare rapimenti, dove il costume era di
circoncidere la ragazza di sera e sposare il giorno dopo lo sposo e i suoi amici guerrieri, potevano essere forzati a vigilare la capanna della ragazza tutta la notte.
I matrimoni, quando forzati o non, erano condotti all'interno del clan, uno di loro era considerato guardiano del matrimonio e si prendeva cura di mantenere la stabilità all'interno di
esso.
Se la moglie di un uomo del clan era vista lontano dalla capanna, era ricondotta indietro e si assicuravano che ella non fuggisse, essi potevano anche intervenire per assicurare gli interessi del
marito nel caso di percosse alla moglie, consigliando ai due di provare a tenere in piedi il matrimonio.
La reputazione del clan per i buoni matrimoni, doveva essere salvata a tutti i costi, perfino picchiando il marito o la moglie secondo i casi.
I Samburu, un gruppo etnico del nord del Kenya parlante lingua maasai, hanno una grande varietà di costumi nella loro cultura, prese dai Maasai e da altre tribù di pastori.
Essi hanno anche un sistema che permette di creare debiti chiedendo o affittando greggi in modo da assicurare anche ai poveri di averne uno per proprio conto. Per questo la cifra dovuta per il
pagamento è stabilita al momento della richiesta. L’uomo Samburu ha anche amici di gregge (sotwatin) che gli danno gli animali che possono essere ripagati con un differente favore in
futuro.
Gli uomini anziani del clan, hanno il potere per lungo tempo, gli uomini sotto i trenta anni non possono sposare o avere la loro indipendenza in nessuna maniera. I guerrieri (moran) inoltre hanno
il permesso di formare un club e avere amanti tra le ragazze nubili (non circoncise) di un altro clan, essi non possono mai sposare queste ragazze e ogni gravidanza che può sopravvenire va
abortita o ucciso il bambino. Quando la dote è pagata a rate il marito non ha diritti sui figli finché non ha completato il pagamento.
Il mantenimento dei principi del volontario scambio di bestiame è espandere la ricchezza, la dote pagata dallo sposo, sarà condivisa con gli altri componenti della famiglia.
Questa pratica ha reminiscenze Luo, come ‘Ayany Maro' (maltrattare la suocera), dove una parte della dote pagata è assegnata a lei per permettere allo sposo
di offenderla quando lui maltratta la moglie, se non ha pagato l'assegnazione, lui non può parlare male di lei, qualunque cosa lei abbia fatto.
Sono gli ultimi discendenti di un popolo di pastori, oggi ne sono rimasti soltanto un migliaio.
In principio vivevano nelle zone intorno al monte Kenya e 4 secoli fa erano un popolo bellicoso di pastori, simile ai Maasai, con i quali condividevano il modo di alimentarsi, bevendo latte e
sangue.
Nel 1592 i Segeju conquistarono Mombasa. Più tardi, nel XVII secolo, vennero allontanati dalla zona di Malindi dagli Oromo che premevano da Nord. Si stabilirono nella zona di Shimoni e Vanga,
all'estremo Sud della costa keniota.
Nel corso dell'ultimo secolo I Segeju si sono spinti ancora più a Sud. Oggi la maggior parte di loro vive a Tanga, in Tanzania.
Il matrimonio per rapimento della ragazza, da parte degli uomini del clan dello sposo, era una volta
abbastanza comune tra le tribù nomadi somale. Tra i Gera, per esempio, questo è conosciuto come ‘bob’. Vogliamo spiegare perché Wikak, uno delle più insolite pratiche di matrimonio hanno preso
piede. La Wikak inizia quando alla fine delle normali cerimonie matrimoniali. Non appena la sposa sta per entrare nella capanna nuziale, lei fugge in una sezione sottotribale invece che nella
propria o del marito. Qui lei è accettata come un membro del gruppo e si dà liberamente a tutti gli uomini che la vogliono, finché lei non rimane incinta, dopo torna nella sezione sub tribale del
marito, dove è accolta con una festa di benvenuto chiamata Tur.
La cultura somala è strettamente imparentata con le culture Arfo e Saho del Corno d’Africa. La maggioranza delle vaste e frazionate tribù somale, ognuna con un nome specifico, segno tribale
(Sunad) e tradizioni proprie, possono essere trovate in Somalia. In Kenya esse sono conosciute per il nome del clan, come i Degodia, Gosha, Gurrea, Hawiyya o propriamente Somali.
Tuttora, alla fine del millennio, cerimonie per la pioggia, ‘rob dor’ (cercare l’acqua), sono ancora comuni tra i somali. Nonostante questi rituali siano eseguiti al tempo associato con la
religione dei loro progenitori, essi stanno aumentando l’acquisizione di significati Islamici. Lak, una cerimonia di dieci giorni che inizia prima delle lunghe piogge, richiede preghiere,
recitazioni del Corano e sacrifici che sono fatti per gli avi e il Dio del Cielo, Wak Da Il.
I Somali hanno due calendari, solare e lunare, basati sul sistema arabo delle stazioni lunari. Il secondo è usato per calcolare la data delle due stagioni delle piogge. L’arrivo dell’anno solare,
è segnato con la Festa del Fuoco, chiamata Dabshid. Calcoli per stabilire l’inizio dell’anno solare, sono fatti usando i calendari lunari esistenti, ma queste sono soltanto approssimazioni. Per
determinarle in maniera più accurata, sono osservate le stelle. Alla nascita di un bambino, sono fatti sacrifici di pecore (wakal) e la testa del neonato è cosparsa con il sangue dell’animale
sacrificato.
Nella cerimonia del Kalaquad i bambini sono confinati nella capanna materna per l’intero primo anno di vita e, alla fine sono portati attraverso la soglia della capanna dal fratello della madre o
dalla sorella se è una bambina. La circoncisione è effettuata a circa sette anni d’età e a volte è collegata ai gruppi d’età, altre non lo sono, dipende dal gruppo Somalo coinvolto.
L’infibulazione femminile è effettuata alla stessa età e consiste nella cucitura dell’apertura della vagina, lasciando un orifizio per il passaggio dell’urina e del sangue mestruale. Ulteriori
operazioni sono effettuate più tardi, una prima del matrimonio per creare un’apertura e permettere l’atto sessuale e un’altra per facilitare il parto. I matrimoni tra cugini di primo grado sono
permessi tra figli di due sorelle, ma non tra figli di fratelli. Le ragazze si sposano tra i 12-15 anni d’età, subito dopo la prima mestruazione e cioè quando gli uomini possono pagare la
promessa di matrimonio, conosciuta come Gabbati.
Il prezzo della promessa è restituito soltanto se la ragazza ha ballato con altri uomini o non è stata trovata vergine al matrimonio.
La madre e la sorella della ragazza devono provare la sua verginità prima che il marito dorma con lei. Se lui non la trova vergine, lo annuncia scavando una buca fuori della capanna matrimoniale
gridando violenti insulti alla famiglia della ragazza. Il vero prezzo è pagato dopo.
Con l’avvento dell’islamico Meher e per altri motivi religiosi, il divorzio è vietato, con l’eccezione di quelli legali sotto la Sharia. Alla presenza di un matrimonio consumato prima
dell’apertura dell’infibulazione, ci si aspetta che un uomo affermi la sua autorità frustando la moglie, dopo di ciò, la mattina successiva, lascia un regalo per lei sotto il poggiatesta prima
che le donne della sua famiglia vengano a controllare la prova della verginità. Dopo questo controllo alla sposa non è permesso lasciare la capanna per un’intera settimana.
Quando un uomo sposato muore, suo fratello si prende la cognata nella Dumai, una sistemazione matrimoniale comune a molti gruppi etnici. Se invece muore una donna sposata, il suo clan o sub clan,
deve provvedere per una sostituta, abitualmente la sorella della morta, in accordo con il costume conosciuto come Higisan.
I Suba, circa 80.000, sono un gruppo di sotto-tribù, strettamente collegate ai Kuria.
Come altre tribù di lingua bantu, affermano di provenire dall'Uganda e di essersi spostati a sud seguendo la riva del lago Vittoria.
A parte un piccolo gruppo di agricoltori, i Suba erano cacciatori e pescatori, cacciavano gli ippopotami per la carne ed il grasso.
Abbandonata la caccia ora si concentrano sulla pesca che rappresenta una buona fonte di reddito.
Le canoe sono molto importanti per la loro economia ed infatti sono degli ottimi costruttori di imbarcazioni che sono assai richieste dalle tribù vicine.
Il termine Swahili è abitualmente usato per riferirsi ad ogni Africano Musulmano della Costa. Questo
apre una disputa perché poche persone potrebbero realmente descrivere se stesse come Swahili.
Perché gli Shirazi (persiani africanizzati) e gli Swahili, condividono i loro costumi con gli Arabi; ci sono molte controversie su come classificare persone o gruppi da quelle parlanti la lingua
Swahili.
Per farla ancora più complicata, alcuni gruppi di persone hanno pensato di creare un’etnia per loro conto, come i Bajuni e in modo particolare il loro clan Shiradi, che si considerano Arabi. Poco
si è ottenuto con tutti i tentativi fatti per classificarli, perfino con gli Swahili.
Molti antropologi sono d'accordo per 12 tribù di Swahili, parlanti 12 varianti di un linguaggio comune e condividendo alcuni costumi.
Una piccola percentuale di Swahili, hanno matrimoni organizzati con i loro cugini (influenza araba), ma molti si sposano senza subire questa condizione.
Ci sono certe regole maritali del Corano, come quella di proibire ad una donna di sposare un uomo di ceto sociale inferiore, pratica seguita anche da altre tribù della Costa.
Si afferma che il matrimonio non è una situazione permanente e non’fino a che morte non vi separi'. Alcuni antropologi hanno notato che poligamia e divorzi, sono comuni.
A parte matrimoni ufficiali (harusi ya rasmi), ci sono anche matrimoni segreti (harusi ya siri), che sono socialmente accettati e possono essere considerati affari d'amore legalmente
sanzionati.
Con i matrimoni ufficiali, c'è una cerimonia nuziale prolungata, con tutte le formalità connesse.
Nei matrimoni segreti, il contratto di matrimonio (kufunga khutuba), è fatto davanti al Mwalimu o Khatibu, il maestro della Moschea, con due testimoni soltanto.
C'è la famiglia degli sposi, con la possibile eccezione della madre della sposa, che non sa nulla del matrimonio o che non vuole essere coinvolta.
Abitualmente la ragazza rimane nella casa materna e lo sposo è ricevuto lì.
Queste unioni sono rotte alla scoperta di un reato, o quando il ragazzo vuole mettersi nella posizione d'uomo adulto.
A parte la moglie o mogli legittime, ci sono anche concubine socialmente accettate (Suria). Gli uomini possono anche avere una relazione con una donna abbandonata dal marito, che anche se
disapprovato, non farà degli amanti (Havara) dei fuori casta sociali.
Il primo figlio nasce abitualmente nella casa materna della sposa, con la madre, la nonna e una donna saggia (Kungui) presenti.
La circoncisione dei ragazzi, è effettuata tra i nove e i quattordici anni d'età, ma è stata influenzata dai costumi Arabi, con la circoncisione precoce, tra i due e i cinque anni d'età.
Il seppellimento dei morti tra le tribù Swahili segue la pratica islamica, preghiere sono recitate per il moribondo (Lakinia) e dopo la morte, il suo corpo è lavato e avvolto in un sudario
(mashambiro), un rituale molto importante è prestato da certe sezioni della comunità Swahili.
La tomba è scavata con una grande bacinella (fua) in vece di una pala, con gli uomini con il collo nudo e le donne con l'ombelico scoperto.
I corpi sono messi nella giusta posizione, cioè rivolti alla Mecca, coperti con una tavola di legno e la fossa è riempita di terra.
Durante questa cerimonia, si leggono a voce alta versi della Fathia, il primo capitolo del Corano.
Nei tre giorni che seguono l'inumazione di un uomo influente, uomini pii leggono l'intero Corano (kusoma hitima) per la persona morta.
Abitudini riguardanti la morte sono varie tra gli Swahili, come l'incenso bruciato vicino alla tomba, per placare gli spiriti, o pellegrinaggi rituali alle tombe dei Musulmani Santi, molti dei
quali sono sepolti a Lamu.
I Taita sono concentrati in tre zone: Sagalla, Dawida e Taveta. Molti Taita sono agricoltori che
lavorano, a mano, dai tre ai cinque acri di terra.
Nonostante le chiese Cattolica ed Anglicana siano sparse in tutta la regione, molte persone non hanno un rapporto con Cristo. L’Islam sta facendo qualche incursione nella regione, ma la religione
tradizionale dei Taita è tuttora praticata. Negli ultimi anni la Chiesa Anglicana con le sue chiese e i suoi ministri sta facendo progressi, ogni anno qualche nuova chiesa è aperta. Il Nuovo
Testamento in lingua Taita è stato disponibile per molti anni ed il Vecchio Testamento è stato completato nel 1998.
I circa 250.000 Taita vivono nella parte centro-sud del Kenya ed una delle città più grandi è Voi. Vivono in piccole fattorie (Shamba) di 5-10 acri sparse nelle zone collinose di Dabida, Sagalla
e Kasigau.
Queste colline sono situate nel cuore del deserto Taru. L’altitudine delle colline è un’oasi di terra fertile nel bel mezzo di una zona semi arida e due stagioni delle piogge danno la possibilità
di avere buoni raccolti. Per i Taita che vivono invece nelle zone più aride avere un buon raccolto è molto più problematico.
Ci sono sei clan differenti nel gruppo Taita. L’80% di loro abbraccia una forma di cristianità ed una piccola, ma crescente parte di loro appartiene ad altri gruppi religiosi.
I circa 120.000 Tharaka del Kenya vivono in piccoli villaggi sparsi nelle piane del Tana River
Valley, il fiume scorre attraverso la parte centrale del Kenya.
I Tharaka vivono in parte nei distretti di Meru, Embu e Kitui e la loro vita continua così da secoli. Gli uomini coltivano la terra ed i ragazzi pascolano il bestiame costituito da vacche, capre,
pecore, e date le condizioni climatiche secche, la maggior parte del bestiame è costituito da capre che meglio si adattano all'ambiente. Oltre che allevare bestiame coltivano anche sorgo, cotone,
girasoli, miglio e piselli.
Le donne procurano l’acqua, raccolgono la legna per il fuoco e cucinano per la famiglia con l’aiuto delle ragazze.
I vestiti tradizionali delle donne sono confezionati con pelli di capra, mentre gli uomini indossano pelli di animali selvatici come segno di prestigio.
Le abitazioni dei Tharaka sono tradizionalmente delle capanne a struttura rotonda con il tetto di paglia.
I Turkana sono differenti dall'antica famiglia dei Karamajong ed hanno perfezionato l’arte della
sopravvivenza. Abitano una zona semi-arida ed hanno poche foreste montane per il pascolo. Sono pastori di asini, cammelli, vacche e capre. Sono gente libera che non ha influenza politica, perfino
tra loro stessi. La maggior parte sono pastori nomadi di bovini capre e cammelli, costretti a spostarsi di continuo alla ricerca di nuovi pascoli e acqua per il bestiame. Frequenti gli scontri
con le etnie rivali dei Samburu e dei Pokot. Il centro principale è il villaggio di Lodwar nella sponda occidentale del lago Turkana, occupando tutto il periplo del lago ad eccezione della parte
di nord-est.
La popolazione Turkana non raggiunge le 500.000 unità, sono nomadi che vagano per i deserti del Nord-Ovest del Kenya.
Ingaggiano assalti, assassini e ruberie verso altre tribù. Hanno una vita di sopravvivenza, pascolano il bestiame e la loro alimentazione è costituita di latte e carne. Le capanne costruite dalle
donne sono a forma di botte, formate da uno scheletro di rami spinosi che si intrecciano e sono ricoperti da foglie di palma dum. All'interno nel centro arde un piccolo fuoco sempre acceso.
Tutt'intorno un recinto di frasche e spine delimita la proprietà. La loro sussistenza si basa principalmente sugli alimenti derivati dal bestiame come la carne, il latte il burro e il sangue;
anche se ultimamente qualche tentativo di agricoltura fa capolino nella zona a sud di Loyangalani con colture di miglio, fagioli e zucche.
Vivendo in zone semi desertiche dove è difficile reperire l'acqua le donne si spostano anche per diversi chilometri usando contenitori di pelle chiamati "akurum" o di zucca essiccata a volte
arricchite con conchiglie cauri, oltre alle immancabili taniche di plastica.
Molti Turkana non vanno a scuola e tra di loro c’è un alto grado di analfabetismo. Amano un Dio chiamato Kuj, considerato il creatore di tutte le cose, Dio del cielo e della pioggia, ma
generalmente hanno un atteggiamento indifferente di fronte alla religione.
La popolazione soffre di molte malattie, come la tubercolosi e malattie correlate provenienti dal latte non pastorizzato.
I Turkana hanno una grande necessità d’acqua essendo la zona da loro abitata arida e secca. Per questo motivo hanno instaurato una curiosa abitudine igienica. Hanno insegnato ai loro cani ad
essere delle 'bambinaie. Il disperato bisogno di acqua li ha portati ad insegnare ai loro cani di leccare il viso dei bambini per lavarli.
Inutile dire che questa abitudine ha portato ad avere nella tribù un altissimo tasso di infezioni dovute al verme solitario (hydatidosis) che non sono registrate nelle tribù che non hanno questa
abitudine.
I Turkana sono una comunità nilotica correlata ai Karamojong dell'Uganda, ed hanno molto del loro linguaggio e sistema di vita in comune.
Sono stimati essere circa 300.000 e vivono nel Nord Ovest del Kenya e nel Nord Est dell'Uganda. In Kenya sono inoltre molto vicini per usi, costumi e linguaggio ai Luo del bacino del Lago
Vittoria.
Chiamano la loro terra Eturkana.
GLI AFRICANI E LA BIBBIA
«Già nell'ambiente colonialista era in voga l'abitudine di gettare in mare la Bibbia non appena attraversato il canale di Suez. Pure i missionari, affascinati dal "Continente Nero", non gettavano in mare la Bibbia, ma solo la tonaca.»
«Quando i missionari giunsero, noi africani avevamo la terra e i missionari la Bibbia. Essi ci dissero di pregare ad occhi chiusi. Quando li aprimmo, loro avevano la terra e noi la Bibbia.»