La bandiera del Kenya (Swahili: Bendera ya Kenya) si basa su quella del Kenya African National Union ed è stata adottata il 12 dicembre 1963 come bandiera del Paese.
Il colore nero rappresenta il popolo della Repubblica del Kenya, rosso per il sangue versato durante la lotta per l'indipendenza, e verde per il paesaggio del paese e la ricchezza naturale.
L'interzato bianco fu aggiunto in seguito per simboleggiare la pace e l'onestà.
Lo scudo Masai tradizionale nero, rosso e bianco e due lance simboleggiano la difesa di tutte le cose sopra menzionate. Si noti che il colore nero simboleggia tutta la popolazione del Kenya, poiché il nero non è un colore ma l'assenza di colore o il completo assorbimento della luce visibile. Ciò significa che il nero indica tutto il popolo del Kenya e non necessariamente la comunità nera.
Lo stemma del Kenya presenta due leoni, un simbolo di protezione, con lance e un tradizionale scudo dell'Africa orientale. Lo scudo e le lance simboleggiano l'unità e la difesa della libertà. Lo scudo contiene i colori nazionali, che rappresentano:
Sullo scudo c'è un gallo che tiene un'ascia mentre procede, raffigurante l'autorità, la volontà di lavorare, il successo e il sorgere di una nuova alba. È anche il simbolo del partito del Kenya African National Union (KANU) che ha portato il paese all'indipendenza.
Lo scudo e i leoni si ergono su una sagoma del Monte Kenya che contiene in primo piano esempi di prodotti agricoli del Kenya: caffè, piretro, sisal, tè, mais e ananas.
Lo stemma è sostenuto da un rotolo su cui è scritta la parola "Harambee". In Swahili, Harambee significa "tutti uniti" o "tutti per uno".
Lo scudo contiene i colori nazionali: nero, verde e rosso, separati da due strisce bianche. Questi sono i colori della bandiera del Kenya e sono anche i colori della bandiera panafricana.
Il tradizionale scudo masai e le due lance incrociate sullo stemma appaiono anche sulla bandiera del Kenya.
Lo stemma appare su tutte le monete dello Scellino del Kenya.
Blasone
Consiste in uno scudo Masai troncato in nero, rosso e verde interzato in argento con al centro un gallo che afferrava nel piede destro un'ascia in argento.
Sostenitori dello scudo: due leoni d'oro con armati con lance rosse che attraversavano in diagonale dietro lo scudo.
Il tutto su un sostegno, in basso, che rappresenta il Monte Kenya e che contiene in primo piano esempi dei prodotti agricoli del Kenya: caffè, piretro, sisal, tè, mais e ananas.
Il rotolo contenente il motto nazionale "Harambee".
Il Kenya fa parte dell'Africa orientale. La superficie complessiva è di 582.650 km² (quasi il doppio dell'Italia), di cui 13.400 km² occupati da acque interne. Confina a nord con l'Etiopia (830 km) e il Sudan del Sud (232 km), a sud con la Tanzania (769 km), a ovest con l'Uganda (933 km), a nord-est con la Somalia (682 km). A est è bagnato dall'Oceano Indiano lungo una linea costiera di 536 km.
La geografia del Kenya è alquanto complessa. Il Kenya è un paese dell'Africa Orientale, ed è attraversato dall'equatore.
Pur essendo un paese equatoriale, e tropicale, presenta climi molto vari. Nel nord si trovano aeree desertiche, e nel centro sud altopiani, con boschi e savane. Il paese è attraversato da lunghe catene di montagne.
Complessivamente, l'elemento morfologico che più caratterizza il Kenya è la Rift Valley, che lo attraversa da nord a sud. Le acque interne presentano laghi di acqua dolce e di acqua salata; numerosi sono anche i soffioni boraciferi e i geyser. Pochi invece i fiumi, di cui solo due hanno una portata e una lunghezza degne di nota (il Tana e il Galana).
La costa del Kenya, sull'Oceano Indiano, è lunga 536 km ed ha un andamento sud-ovest – nord-est. La costa è ricca di barriere coralline (notevoli quelle di Malindi, Watamu e di Shimo la Tewa) e di spiagge sabbiose, a sud.
Si trovano inoltre l’arcipelago di Lamu, al nord, e altre isole al confine con la Tanzania.
I fiumi Tana e Galana si gettano nell'oceano a nord di Malindi. Lungo le rive si trovano foreste con un ricco patrimonio biologico.
La fascia costiera è formata da terreni autoctoni, con forti presenze di antiche barriere coralline, e con una pendenza regolare che si innalza verso l’interno.
Dalla costa si sale velocemente verso l’altopiano di Yatta, che in qualche modo separa i bassipiani del nord dalla regione dello Tsavo.
Lo Tsavo è una grande pianura semidesertica, attraversata da colline e montagne monolitiche, che si porta sino ai piedi del Kilimanjaro, la più alta montagna africana (che ha però la cima in Tanzania).
A nord dell’altipiano di Yatta si trovano i deserti che confluiscono nella regione somala. A nord-ovest dello Tsavo iniziano gli altipiani centrali. A nord quello che culmina con il Monte Kenya, seconda cima africana, e a sud con le vaste savane e praterie abitate dai Masai.
Questi altipiani hanno un’altezza variabile dagli 800 ai 3000 metri, con una media sopra i 1600 metri. A nord del monte Kenya, gli altipiani discendono velocemente verso una zona semidesertica che presenta però notevoli catene montuose. Importante il Monte Marsabit.
Lungo tutta la Rift Valley si trovano catene montuose. Le più importanti sono quelle del Mau, degli Elgeyo-Kaputiei, e quelle del Baringo.
Alcune tra le più alte montagne dell'Africa sono situate all'interno del Kenya o a ridosso dei suoi confini. Tra questi sono il Monte Kenya, il Monte Elgon, la Catena Aberdare (Aberdare Range) e il massiccio del Kilimanjaro, la cui vetta si trova in Tanzania. Oltre a questi si segnala il monte Homa formatosi dalla lava carbonatite.
Oltre all'oceano lungo tutta la costa, il Kenya controlla un piccolo spicchio di Lago Vittoria, il più grande lago africano. Altre acque interne d’importanza sono i laghi lungo la Rift Valley, quasi tutti salati (Magadi, Elementeita, Nakuru) e spesso interessati da fenomeni quali i geyser (Bogoria). L’emissione di vapori sotto forte pressione è comune in molte zone del Rift.
Notevole è la presenza di soffioni nell'area di Ol Karia dove una centrale termica sfrutta il vapore per la produzione di energia elettrica. Importante il Lago Turkana, un lago d’acqua dolce alimentato dal fiume Omo, proveniente dagli altipiani etiopici.
Gli unici due fiumi di una certa importanza sono il Tana e il Galana. Il Tana nasce dal bacino lungo i fianchi del Monte Kenya e dell’altipiano che lo circonda. Prosegue poi verso nord, per piegare decisamente a sud e raggiungere la costa. Il Galana nasce come un piccolo ruscello dalle Colline Ngong, poco a sud di Nairobi e percorre tutto il limite nord della pianura Kaputiei. Qui è chiamato Mbagathi dai Masai. Dopo aver ricevuto l’acqua da vari altri corsi di piccole dimensioni, esce dal Parco Nazionale di Nairobi ed è conosciuto con il nome di Athi. Segue verso nord e forma le cascate di Forteen Falls vicino a Thika. Da qui si volge a sud est, rasentando tutto il costone dell'altopiano di Yatta dove riceve le acque dello Tsavo e forma le Rapide di Lugard. Continua la sua corsa sino a buttarsi nell'oceano, col nome di Sabaki, poco a nord di Malindi.
Alla fascia costiera, lunga oltre 400 km, succede una regione di altopiani aridi e stepposi; quello centrale, che si eleva a quote comprese tra i 1500 e i 3000 metri, è diviso dalla frattura della Rift Valley che si sviluppa da nord a sud e che forma il bacino del Lago Turkana (o Rodolfo). Ai lati della Rift Valley si innalzano imponenti massicci vulcanici, il maggiore dei quali è il monte Kenya (5199 m), uno dei monti più alti dell'Africa e il Kilimanjaro (5358 m) al confine con la Tanzania. L'altopiano degrada a ovest, in prossimità del Lago Vittoria, e a nord dove il territorio del Kenya è occupato da un ampio tavolato desertico.
Lungo la costa si ha un clima tropicale, fortemente interessato dai monsoni. All'interno, sotto i 1000 m, si ha un clima caldo con condizioni di aridità e alcuni sottoclimi desertici. Sopra i 1000 metri il clima si fa temperato, continentale e persino alpino sui monti più alti. La capitale, Nairobi, presenta un clima temperato – raramente la temperatura sale sopra i 30 gradi – e freddo durante il breve inverno (giugno/luglio).
Il clima, molto caldo e umido nelle regioni costiere, diventa più mite e asciutto nel cuore del Paese, in rapporto all'altitudine. Le piogge sono concentrate in due periodi dell'anno: da marzo a maggio le grandi piogge, mentre da ottobre a dicembre le piogge sono intense ma brevi. L'ambiente dominante è quello della savana, tutelato da numerosi parchi naturali che coprono circa il 10% del territorio nazionale. Sulle pendici delle montagne e lungo il corso dei fiumi si trovano tracce dell'originaria foresta pluviale; mentre a nord, nelle zone meno piovose, la savana sfuma nel deserto. La savana è l'habitat di grandi mandrie di erbivori (antilopi, gazzelle, giraffe, bufali, zebre, elefanti) e dei loro predatori (leoni, leopardi e ghepardi). Nelle acque dei laghi e dei fiumi vivono ippopotami e coccodrilli.
Il Kenya è considerato la Culla dell'Umanità, grazie alle scoperte effettuate da L. S. B. Leakey e G. L. Isaac, nella zona del Lago Turkana, di diversi crani, tra i quali uno risalente a circa due milioni e mezzo di anni fa. Possiamo dire che il Kenya è veramente antichissimo se si pensa che nel 2002 nell'area del Lago Turkana è stato ritrovato un resto di ominide di più di sei milioni d'anni.
Il paleoantropologo Justus Erus dell'equipe di Meave Leakey, nel 1999 a Lomekwi, sulle rive occidentali del Lago Turkana in Kenya, scoprì resti fossili di Kenyanthropus platyops considerata una specie di Hominidae estinto del Pliocene, vissuto tra 3,2 e 3,5 milioni di anni fa. Il nome "Kenyanthropus platyops" deriva dal greco e significa "uomo del Kenya dalla faccia piatta" e fu attribuito dalla Leakey per indicare questa specie, che è anche l'unica finora conosciuta per questo genere.
I resti fossili ritrovati (molto deformati) appartenenti a questa una nuova specie, consistono in una trentina di frammenti di un cranio molto largo e dalla faccia piatta, provvisto di piccoli denti. Secondo alcuni paleoantropologi il Kenyanthropus potrebbe essere una varietà di Australopithecus afarensis, vissuto nello stesso periodo e nelle stessa area, o una specie di Australopithecus. Secondo altri, la faccia piatta è simile ai reperti dell'Homo rudolfensis, e quindi sarebbe già un antenato del genere Homo. In attesa di ulteriori e più significativi ritrovamenti il dibattito rimane aperto.
Numerose località sono famose per avere restituito resti di ominidi molto antichi: Baringo (9 milioni di anni), Lukeino (6 milioni di anni), Lothagam (ca. 5 milioni di anni).
Antiche industrie litiche sono state rinvenute in particolare nella regione di Koobi Fora a est del Lago Turkana: Olduvaiano nel sito KBS, dal nome del ricercatore Kay Behrensmeyer che per primo trovò lì strumenti di pietra (livelli più antichi datati a circa 1,8 milioni di anni); Olduvaiano evoluto dai livelli Karari, datati a ca. 1,5-1,4 milioni di anni. Industrie attribuite a questa fase sono anche note a Chesowanja, nel Kenya centrale, da dove provengono resti di Australopiteco robusto datati a ca. 1,4 milioni di anni.
Livelli di diverse fasi dell'Acheuleano sono noti nell'importante sito di Olorgesailie, ca. 50 km a sud-ovest di Nairobi, e in quello di Isenya. Un Acheuleano, associato a resti umani attribuiti a un rappresentante arcaico di Homo sapiens, proviene dal sito di Kanjera. Industrie del Middle Stone Age e del Late Stone Age si trovano, tra l'altro, nei dintorni di Isenya e a Lukenya Hill, vicino a Nairobi. Complessi di tipo Paleolitico superiore, noti col nome di Eburriano, sono conosciuti a Gamble's Cave, nella zona centrale del Rift e a Nderit Drift, a sud del lago Nakuru. Accampamenti di pescatori di epoca compresa tra 9000 e 5000 a. C. sono stati rinvenuti a Ileret, a Lothagam e a Lowasera, sulla sponda orientale del lago Turkana.
Nei millenni varie popolazioni sono emigrate e si sono stanziate in Kenya, dagli ottentotti del Sudafrica ai Galla della Somalia, ma è nell'ultimo millennio dopo Cristo che si stabilirono in questo territorio la maggioranza delle etnie che diedero vita a questo meraviglioso paese che è appunto il Kenya. Dalle popolazioni bantu nacquero le tribù Kikuyu, Akamba, Meru, Gusii e molte altre, mentre dalle popolazioni nilotiche trasferitesi in Sudan, dalla Valle del Nilo intorno al 1400, presero vita le tribù Masai, Luo, Turkana e Samburu.
La cultura Swahili nacque anche qua come a Zanzibar nello stesso modo, perché la storia fu la medesima. Dal 700 dopo Cristo, Arabi e antichi Shirazi della Persia, incominciarono a battere le coste dell'Est Africa, per spedizioni commerciali (vedi "Zanguebar il paese degli Zanj"); come in Tanzania anche qui molte famiglie nacquero dall'unione di antichi mercanti con donne del Kenya ed è così che nacque quella che oggi viene considerata una delle culture più ricche dell'antica Africa: la cultura Swahili. Piccole città Stato, di religione musulmana, con intrecci di religioni locali, improntate sul commercio costellarono tutta la costa dalla Somalia al Mozambico ed oggi ne abbiamo ancora traccia ben evidente nelle due isole un tempo culla di questa civiltà: in Kenya, l'arcipelago di Lamu e in Tanzania l'arcipelago di Zanzibar (vedi "Il Kenya dal X al XX secolo").
La storia moderna del Kenya è molto articolata. In queste poche righe ve ne daremo solo una traccia.
I Portoghesi giunsero a Malindi con Vasco da Gama nel 1498. Nonostante vari tentativi di assicurarsi il controllo di alcune città per i propri traffici che andavano dall'India all'Europa, i Portoghesi furono scacciati dalle continue ribellioni della popolazione locale che, come a Zanzibar, chiamò in aiuto gli arabi dell'Oman, cadendo ben presto dalla "Padella nella Brace".
La presenza araba, infatti, fu ben presto assai più pesante di quella portoghese, quando il Sultano dell'Oman decise di trasferirsi nell'Isola di Zanzibar per meglio controllare il traffico di schiavi, di zucchero, caffè e chiodi di garofano, esteso in tutto l'Est Africa.
Mombasa e Patè (nell'arcipelago di Lamu), forti città Stato Swahili, in totale rivolta contro il Sultano dell'Oman furono annientate nel 1822 ma le rivolte in altre zone costiere non diminuirono.
Leggendaria fu la figura del condottiero africano, conosciuto con il nome di Mirambo, che intorno al 1870 assediò la cittadella di Kaze, dove il Sultano aveva posto un proprio insediamento e lo costrinse ad andarsene da quel luogo per sempre.
Dopo l'abolizione della schiavitù, grazie ad una forte spinta del governo inglese nel 1873 iniziò la graduale avanzata inglese nelle terre del Nord del Kenya, fino ad allora inaccessibili, perché territorio dei temutissimi guerrieri Masai. Alla fine del 1800 infatti il capo spirituale Masai, conosciuto come Olonana (noto ai britannici come Lenana), concesse all'Inghilterra l'autorizzazione a costruire sul loro territorio l'attuale linea ferroviaria che collega Mombasa con l'Uganda, la famigerata Uganda Railway.
Su questa storia è stato girato il film, Spiriti nelle Tenebre, la storia di due leoni che non amavano molto la costruzione di quella linea ferroviaria. Il destino dei Masai era segnato, il mito della fine del mondo, parlava proprio di "un serpente di ferro" che avrebbe attraversato le loro terre, prima della loro distruzione.
Piano piano i Masai furono relegati in due riserve, separate proprio dalla linea ferroviaria, ma furono scacciati dopo qualche anno anche dalla riserva più a Nord, perché estremamente fertile e furono spinti in terre più secche a Sud; le proteste del leader Masai Olonana, oggi chiamato Lenana, ormai non poterono servire a nulla.
I grandi guerrieri Masai furono costretti dai coloni bianchi nelle riserve sempre più piccole e alla tribù di agricoltori Kikuyu furono sottratti i terreni. Nei primi anni del XX secolo, le terre interne appartenevano agli agricoltori europei che crearono piantagioni di caffè e tè sulle terre della tribù di Kikuyu, i quali non seppero rivendicare le terre nei termini europei. Con il passare del tempo iniziò ad aumentare l'opposizione al regime coloniale, associazioni come Kenya African Union si unirono ad altre rivendicando il diritto alla libertà dei popoli del Kenya. Nel 1956 la Mau Mau Ribellion fu sconfitta dai colonialisti con un tributo di oltre 13 mila morti africani, ma fu solo la vittoria di una battaglia che non spense gli animi e la voglia di libertà dei Kenioti. Il 12 dicembre 1963, Kenya finalmente ottiene la propria indipendenza diventando una delle nazioni più stabili e ricche dell'Africa. Jomo Kenyatta fu il primo presidente del nuovo Kenya indipendente. Kenyatta era il successore politico di Harry Thuku, uno dei primi leader del partito dei kikuyu, già fondatore nel 1921 della East African Association, incarcerato nel 1922 dagli Inglesi, senza aver commesso reati.
Vedi anche: Colonialismo
Risale agli anni '30 l'inizio dell'indipendenza del Kenya, con un uomo, Johnstone Kamau, meglio conosciuto come Jomo Kenyatta, a cui è dedicato il nome dell'aeroporto internazionale di Nairobi.
Kenyatta, leader del Kikuyu Central Association, nel 1929 andò a Londra per cercare una risoluzione pacifica con il segretario britannico indiano, ma non fu neanche ricevuto. I quindici anni seguenti, Kenyatta visse tra Mosca, Londra e Berlino, formandosi nell'arte politica e nell'azione rivoluzionaria. Fondò la Pan-African Federation insieme a Kwame Nkurmah (futuro presidente del Ghana) e a Hastings Banda (futuro presidente del Malawi). A metà degli anni '40 tornò in Kenya, diventando il leader del KAU, Kenya African Union; intanto, però, agli inizi degli anni '50 nacque il gruppo segreto, conosciuto nel mondo come Mau Mau, costituito da Masai, Luo e Kikuyu con i quali iniziò la rivoluzione Mau Mau. Kenyatta, nonostante fosse estraneo al movimento fu ben presto arrestato per quasi sette anni. Dopo varie repressioni e aperture del governo inglese finalmente nel 12 dicembre del 1963 si giunse all'indipendenza del Kenya, sotto la guida di Jomo Kenyatta, che cercò di avviare una politica di equità e ridistribuzioni delle terre. Kenyatta governò fino alla sua morte ne 1978.
Dopo la morte di Jomo Kenyatta, avvenuta nel 1978, salì al potere, divenendo il secondo presidente del Kenya, Daniel Arap Moi dalla tribù dei Tugen (arap vuol dire ""figlio di" in lingua kalenjin). Moi ordinò lo smembramento della università e lo scioglimento delle società tribali. Sotto il nuovo governo le tensioni interne ebbero una nuova intensificazione, tanto che la Kenyan Air Force, con le proprie divisioni aeronautiche, tentò nel 1982 un colpo di stato ma non riuscì poiché gli apparati militari fedeli al presidente Moi ebbero la meglio, smantellando l'aeronautica.
Gli aiuti internazionali a favore del Kenya guidato dal presidente (dittatore) Moi furono cessati, successivamente il FMI (Fondo Monetario Internazionale) chiese a Moi di allentare la morsa della politica dell'oppressione in atto e di tenere un comportamento più democratico nei confronti del popolo del Kenya, in cambio il Kenya avrebbe nuovamente avuto gli aiuti internazionali. Daniel Arap Moi accettando le "condizioni" del FMI vinse le re-elezioni del 1993 ed anche quelle (molto discusse) del 1997. Nelle elezioni del 2002, Moi già presidente da 24 anni, tentò di cambiare la costituzione al fine di ricandidarsi, ma non vi riusci, quindi fu eletto presidente Mwai Kibaki determinando un profondo cambiamento della politica di governo e introducendo di nuovo la democrazia in Kenya.
26 marzo 2013
Uhuru Muigai Kenyatta è stato nominato presidente del Kenya
Uhuru Muigai Kenyatta, ex leader del partito politico Kenya African National Union (KANU), l'ex partito unico del Kenya, e figlio di Ngnina Muhoho e Jomo Kenyatta, il padre della
indipendenza del Kenya, è stato nominato presidente del Kenya.
Sebbene chiamato dal secondo Presidente del Kenya, Daniel Arap Moi, ad essere il suo successore alla guida delle elezioni presidenziali del KANU il 27 dicembre del 2002, Kenyatta ha subito una
pesante sconfitta dalla coalizione dei partiti di opposizione guidato da Mwai Kibaki. Anche se il KANU aveva tenuto il potere nei 39 anni successivi all'indipendenza, ha ottenuto solo il 31% del
voto contro il 62% per Kibaki. Alcuni analisti hanno sottolineato la sua vicinanza al presidente uscente Moi come causa della sconfitta. Nel gennaio 2005, Uhuru Kenyatta ha sconfitto Nicholas
Biwott per la presidenza del KANU, ottenendo 2.980 voti dai delegati del partito contro i 622 voti a favore di Biwott, consolidando la sua posizione di presidente e leader del KANU e
dell'opposizione.
Oggi il Kenya è uno dei paesi più osservati dell'Africa, in forte ripresa, su cui tutta la comunità mondiale sta puntando molto, compreso il governo italiano, visti gli ultimi finanziamenti del
2009, verso gli investitori italiani in Kenya. Molto si sta facendo e si farà ancora e non è un caso che il turismo sia ogni anno di più in totale espansione: parchi tra i più belli del mondo,
spiagge mozzafiato ed una popolazione estremamente ospitale e gentile, non possono che aiutare l'economia del turismo.
29 gennaio 2016
Il Kenya in vista delle prossime elezioni
A 18 mesi dalle prossime elezioni, il panorama rischia già di essere esplosivo, in Kenya. Soprattutto La Rift Valley non attende che di ribollire. Un ecosistema fragile ed estremamente prezioso la cui composita capacità attrattiva ne ha fatto nel corso degli anni anche un calderone politico instabile, non estraneo a momenti di estrema violenza e di vitale importanza per qualunque candidato alle elezioni. Tanto più che, nei prossimi mesi, vi saranno registrati almeno 1,5 milioni di elettori.
Questa larga fenditura di terra ospita un multiforme scenario agricolo, richiamo di forza lavoro per l’intero stato. Qui, lungo le sponde del lago Naivasha, vengono prodotte le 137.000 tonnellate di rose che affollano letteralmente le città europee e asiatiche, con risvolti ambientali e sociali non sempre positivi. Ma è anche una distesa a perdita d’occhio di campi di tè e caffè. I suoi impianti di energia geotermica, poi, forniscono Nairobi di elettricità a buon mercato; i suoi laghi l’acqua. Non stupisce, quindi, l’enorme afflusso di migranti che hanno reso, di fatto, questa zona un colorato caleidoscopio umano, dominato in particolare dai Kikuyu e dai Kalenjin. Una circoscrizione chiave che Uhuru Kenyatta, l’attuale presidente del Kenya, ha bisogno di conquistare se vuole essere riconfermato l’anno prossimo.
Kenyatta appartiene alla tribù dei Kikuyu, la più grande Paese, e la sua vittoria nel 2013 è stata in parte dovuta all’alleanza con William Ruto, un politico molto popolare tra i Kalenjin. Ma oggi, con l’inflazione galoppante, l’economia che arretra e con Ruto chiamato in giudizio dalla Corte Penale internazionale dell’Aia con l'accusa di istigazione alla violenza dopo le contestate elezioni del 2007, ogni scenario è possibile.
Tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008, dopo le elezioni, Naivasha e Nakuru furono devastate da terribili brutalità che sconquassarono il Kenya con oltre 300.000 sfollati e almeno 1.300 persone uccise. Molti dei sostenitori di Ruto si domandano, oggi, perché lui sia ancora sul banco degli imputati mentre le accuse contro il presidente Kenyatta siano cadute. Di fatto la Corte Penale internazionale dell’Aia ha formalmente chiuso a marzo di quest’anno il procedimento contro il presidente in carica Uhuru Kenyatta, primo capo di Stato in carica a comparire davanti ai giudici dell’Aja. Nel 2011 Kenyatta era stato accusato di aver avuto un ruolo nelle atroci violenze scoppiate dopo le elezioni del 2007. Il caso, tra i più discussi e criticati di questi 13 anni, è stato lasciato cadere per insufficienza di prove, ma ha contribuito ad alimentare non poco il mito del "pregiudizio africano".
Tra i protagonisti della campagna a favore di Kenyatta si è segnalato il presidente ugandese Yoweri Museveni, che non ha nascosto la sua intenzione di arrivare ad un ritiro di massa da parte dei Paesi africani dallo Statuto di Roma. La mozione è già stata affrontata in due diversi summit dell’Unione Africana, mancando però il quorum anche grazie all'impegno di Paesi come il Ghana, la Costa d’Avorio, la Repubblica democratica del Congo. Politicamente, però, il "danno" era già stato fatto, e quanto accaduto in Sudafrica a favore di Bashir conferma che l’efficacia della Corte Penale internazionale è a rischio. L’Africa, peraltro, è tra i principali "azionisti" della Corte: su 123 Paesi che hanno siglato lo Statuto di Roma, ben 34 sono africani. E africani, a ben vedere, sono anche metà dei conflitti in corso nel mondo, forse uno tra i motivi non secondari per cui lo sguardo dell'Aja si è posato così spesso sul continente nero. Un’altra ragione, sostengono alcuni analisti, è che, essendo così esposta alla violenza, la società civile africana ha avuto particolare interesse in questi anni a instaurare uno stato di diritto, anche retto dall'esterno se necessario. "Esigenza" che però viene avvertita meno dai capi di Stato, soprattutto da coloro che tendono a ritenersi al di sopra di quelle regole che li obbligano a rispondere legalmente delle loro azioni. Se a questo si aggiunge l’estrema lentezza d’intervento dimostrata dalla Corte Penale internazionale (anche per mancanza di maggiori mezzi operativi), ecco che la Corte non gode di buona immagine e la sua stessa esistenza è ormai in discussione.
Quel che è certo, però, è che se Ruto dovesse essere condannato, la sua alleanza con l’attuale presidente potrebbe venir meno aprendo la strada ad altre possibilità. Inoltre, Ruto non è l’unico rappresentante dei Kalenjin: Gideon Moi e Isacco Ruto, un governatore della contea, ad esempio, sono due potenziali sfidanti. In uno scenario ancora tutto da definire e che potrebbe, ancora una volta, risultare esplosivo.
7 aprile 2017
Kenya 6° Paese più corrotto del mondo, 1° in Africa
Il Kenya è la nazione più corrotta dell’Africa e il sesto Paese del mondo in questa speciale e disdicevole classifica delle cattive abitudini, stilata ogni due anni dall'istituto americano EY
Fraud Survey.
Globalmente il Paese dell’Est Africa ha guadagnato una posizione, confermando ormai da sei anni la posizione all'interno delle prime dieci, ma ha superato Nigeria, Somalia e Congo nel ranking
continentale, diventando la nazione più corrotta d’Africa, grazie soprattutto all'aumentare dei suoi giri d’affari.
Nella speciale statistica dell’EY Fraud Survey, infatti, conta anche il volume di operazioni in cui avvengono frodi di ogni tipo (da quelle fiscali alle vere
e proprie “mazzette”, dalle estorsioni al contrabbando, dalla speculazione edilizia alle concessioni) e non solo le abitudini e le opportunità.
Una classifica del genere è sicuramente un assist all'Opposizione di Governo, in vista delle prossime elezioni. La lotta alla corruzione infatti è stata una delle bandiere del Presidente Uhuru
Kenyatta durante il suo mandato, che scade quest’anno ad agosto, ottenendo solo che questa piaga dilagasse fino ad arrivare a minare qualsiasi ambiente istituzionale ad ogni livello. L'odierno
presidente in diretta televisiva, durante l’insediamento del nuovo Capo della Magistratura, ha voluto far credere di avere le mani legate sul fenomeno della corruzione, perché il potere di
estromettere i corrotti è esercitato in primis dal Parlamento, ottenendo così che in tutto il Paese le manifestazioni contro la corruzione vengono represse dalla polizia dimenticando le maniere
morbide, con il conseguente radicarsi del “mangia-mangia” generale in qualsiasi ambiente, anche tra la popolazione più povera che inevitabilmente non riesce a capire, visto il livello
intellettivo, che è semplicemente destinata a rimanere tale.
Proprio per questa ragione i cittadini rinnoveranno, con il voto, il mandato all'odierno presidente!
Da decenni i contribuenti occidentali, continuano a riversare in Africa imponenti flussi di denaro.
Ed oggi, per contrastare l’ormai ingestibile ingresso di migranti in Europa, si propongono ulteriori incrementi di aiuti.
L’Africa, nel frattempo, invece di crescere ed affrancarsi da questa elemosina, deperisce sempre di più e tutti ne conoscono bene la ragione: ogni aiuto ed ogni risorsa che approda nel
continente, viene immediatamente fagocitata dalla sua insaziabile classe politica che, di qualsiasi colore si fregi, continua ad arricchirsi a dismisura avvalorando così l’adagio che “i
poveri d’Europa foraggiano i ricchi dell’Africa”.
Stabilità geopolitiche, alleanze strategiche ed interessi commerciali, fanno si che questi satrapi d’Africa, malgrado le loro malefatte, continuino ad essere vezzeggiati e foraggiati da un
occidente remissivo ed opportunista che blatera di solidarietà verso i diseredati dei paesi poveri, ma che, nella realtà, mira solo a proteggere il proprio tranquillo
vivacchiare.
18 luglio 2017
Il video propaganda contro Raila Odinga
Il video di propaganda apparso su Internet la scorsa settimana ha suscitato molte reazioni. In Kenya, a tre settimane delle elezioni legislative e presidenziali, un simile spot fa temere l’esplodere di nuove violenze.
Il video di 90 secondi, anonimo, s’intitola “The Real Raila" e dice "Ferma Raila, salva il Kenya. Il futuro del Kenya è nelle tue mani” e ipotizza un paese nel caos dopo la vittoria del candidato dell’opposizione.
Alle presidenziali si presenta Uhuru Kenyatta, presidente uscente, insieme al suo vice William Ruto. Entrambi sono stati indagati dalla Corte penale internazionale per le loro presunta implicazione nelle violenze elettorali del 2007-2008.
Kenyatta, in testa ai sondaggi, sfiderà ancora una volta Raila Odinga, leader dell’Orange Democratic Party e della National Super Alliance, che riunisce le varie parti dell’opposizione.
Globalmente il Paese dell’Est Africa ha guadagnato una posizione, confermando ormai da sei anni la posizione all'interno delle prime dieci, ma ha superato Nigeria, Somalia e Congo nel ranking
continentale, diventando la nazione più corrotta d’Africa, grazie soprattutto all'aumentare dei suoi giri d’affari.
“The Real Raila" è uno dei molti strumenti di guerra propagandistici online che vengono utilizzati dai suoi rivali. È chiaro chi sia dietro il "video slick": l'assetto ombroso pro-governo che lo ha diffuso. Altri elaborati, mirati e ben oliati sulle campagne Facebook e Twitter gestite da blogger, hanno dichiarato di essere finanziati o connessi con Uhuru Kenyatta e il suo Jubilee Party.
7 agosto 2017
William Ruto l’uomo più corrotto del Kenya vuole la riconferma a vicepresidente
William Samoei arap Ruto, vicepresidente del Kenya, si candida nuovamente nelle file di Uhuru Kenyatta, per riconquistare la sua poltrona.
Ruto è nato nel 1966 nella Uasin Ghishu County, feudo dei kalenjin, una delle maggiori etnie del Paese, da una famiglia di modeste origini. Sin da bambino è sempre stato uno studente brillante. Si è laureato con il massimo dei voti in biologia e zoologia e per diversi anni si è guadagnato da vivere come insegnate, prima di intraprendere la carriera politica.
Nel 1992 si lancia in politica con “I giovani per Kenya African National Union” (KANU), il partito di Daniel arap Moi (arap vuol dire figlio di in lingua kalenjin). Il giovane Ruto era un assiduo frequentatore della African Inland Church (AIC) e negli anni all'università è stato anche il leader del University Christian Union choir.
Il suo primo incontro con Moi avviene casualmente durante una funzione religiosa: l’allora presidente era stato colpito da una preghiera recitata da Ruto. Oggi il vicepresidente è un uomo ricco, ma fonti certe del suo villaggio d’origine raccontano che da giovane vendeva polli e arachidi lungo la strada Nakuru–Eldoret, per contribuire al magro bilancio della sua famiglia.
Durante le elezioni del 2007 Kenyatta e Ruto erano impegnati su fronti diversi. Il primo era all'epoca un fedele del presidente di allora, Mwai Kibaki, mentre il secondo appoggiava Raila Odinga, oggi rivale di Ruto, e candidato come presidente in questa tornata elettorale.
Sia Kenyatta che il suo vice Ruto sono stati incriminati dalla Corte penale internazionale dell’Aja per crimini contro l’umanità, commessi durante e dopo le presidenziali del 2007, per altro considerate truccate dalla comunità internazionale.
Ci furono un migliaio di morti in scontri tribali tra i sostenitori dell’uno e quelli dell’altro, che allora erano appunto su fronti opposti. Ma come succede spesso, il processo è stato accantonato per il ritiro dei testimoni. In molti credono che i testimoni siano stati comprati, dopo le strane morti di alcuni di loro. Inoltre già nel 2013, durante un vertice dell’Unione Africana, molti Paesi avevano minacciato di uscire in massa dalla CPI, classificandola come “razzista e con atteggiamenti pregiudiziali verso gli africani”.
Ruto è stato il primo vicepresidente nella storia della ex colonia britannica ad essere eletto direttamente dal popolo; funzioni e poteri che competono a questo ruolo sono fissati dalla Costituzione. Il vicepresidente deve inoltre eseguire i compiti che gli vengono affidati direttamente dal presidente e sostenerlo quando è necessario per poter governare con serenità.
Poco meno di un anno fa, la Infotrak, ditta che si occupa di ricerche sociali e statistiche, ha classificato l’ufficio di Ruto come il più corrotto in assoluto, mentre quello del presidente è il secondo in questa triste classifica. Il sessantadue per cento dei kenioti è convinto di non aver scelto il partito migliore durante le elezioni del 2013, mentre il cinquantacinque per cento non è soddisfatto dell’andamento economico del Paese.
William ha un grande carisma ed è un ottimo oratore, oltre ad essere un eccellente team leader. È sposato con Rachel Chebet Ruto, conosciuta durante gli anni all'università, che gli ha dato sei figli, tra loro una figlia non biologica, Nadia. La moglie viene da una famiglia di contadini poverissima; Rachel ha indossato per la prima volta un paio di scarpe quando è stata ammessa alla scuola secondaria. Ruto viene dipinto come un ottimo padre di famiglia, e segue l’educazione dei figli con attenzione.
by Africa ExPress
7 agosto 2017
Kalonzo Musyoka, corre con Raila: l’uomo dell’ombrello e della mezza arancia
“Wakati ni sasa” (il momento è adesso). Si presenta con uno slogan semplice, forse un po’ banale Kalonzo Musyoka candidato alla vicepresidenza del Kenya, assieme al candidato presidente Raila Odinga. Musyoka, classe 1953, è l’uomo del partito con l’ombrello, il Wiper Democratic Movement (WDM). È di etnia Kamba, circa 4 milioni di persone che vivono nell'area orientale del Paese e rappresentano quasi il 10 per cento della popolazione keniota.
Politico di lungo corso (è in parlamento dal 1985), Musyoka è stato vice presidente del Kenya dal 2008 al 2013 e nel governo durante la dittatura di Daniel arap Moi. Tra il 1986 al 2002, in pieno regime Moi, è stato ministro degli Esteri, ministro dell’Educazione e capo del dicastero del Turismo e dell’Informazione.
Con la presidenza di Mwai Kibaki, la prima dopo Moi, gli è stato affidato il ministero degli Esteri e poi quello dell’Ambiente. Dopo la sconfitta alle elezioni del 2007, nel gennaio 2008 Kibaki lo ha nominato vicepresidente affidandogli anche il Ministero degli Interni.
Il Wiper Democratic Movement è l’evoluzione dell’Orange Democratic Movement-Kenya (ODM-Kenya) che nel 2007, quattro mesi prima delle elezioni, si era separato dal Orange Democratic Movement di Raila Odinga. Il simbolo del partito di Odinga è l’arancia che Musyoka ha ripreso ma tagliandola a metà.
Non gli ha portato fortuna: solo il 9 per cento dei consensi degli elettori che hanno avuto parecchia confusione tra la scelta dell’arancia intera e la sua metà. Per una parte dei suoi ex colleghi di partito è stata scorrettezza per altri un tradimento.
Forse, a questo punto, l’unica alternativa non poteva che essere un ombrello aperto. Nelle passate elezioni politiche il WDM, con quasi 880 mila voti, è entrato in parlamento conquistando 25 seggi su 349.
In questa campagna elettorale il Wiper Democratic Movement si presenta con il National Super Alliance-Nasa, una coalizione di cinque partiti di opposizione, il più importante dei quali è l’Orange
Democratic Movement.
by Africa ExPress
11 agosto 2017
Uhuru Kenyatta riconfermato presidente del Kenya
Con i risultati ufficiali delle elezioni tenutesi l'8 agosto 2017, Uhuru Muigai Kenyatta è stato ufficialmente riconfermato quale presidente del Kenya per il suo secondo
mandato che scadrà nel 2022. Vice presidente è anche riconfermato William Ruto.
La proclamazione del vincitore è stata annunciata dall'IEBC, la Commissione Elettorale del Kenya, ben oltre le 22, quando il presidente, Wafula Chebukati, ha rivelato la decisione cui è pervenuto
il suo Istituto dopo un’accurata disamina dei risultati ed ha comunicato il rinnovo della carica presidenziale a Uhuru Kenyatta che, con il 54,20% dei voti (8.181.021), ha sconfitto il Rivale
Raila Odinga che ha totalizzato il 44,91% (6.779.469).
A Malindi: Uhuru 23,4% - Raila 75,62%.
L'agenzia Reuters comunica che solo a Mathare, slum di Nairobi pro Raila, è salito a dieci il numero dei morti, tra cui una giovane donna ed una bambina che si era affacciata ad un balcone, a
causa dei "colpi sporadici" sparati dalla polizia durante gli scontri con i manifestanti contro i risultati delle elezioni presidenziali. Tre persone sono state uccise nella contea di Nakuru
durante le celebrazioni che hanno seguito la rielezione del presidente.
La Commissione Diritti Umani del Kenya ha detto di aver contato 24 morti nelle proteste scoppiate nelle roccaforti dell'opposizione dopo le elezioni di martedì, ma l'opposizione parla del decesso
di "un centinaio di persone e fra questi 10 bambini".
28 novembre 2017
Kenya, Uhuru e Ruto giurano. Scontri tra manifestanti e polizia. Morti e feriti.
Il tormentone elettorale, iniziato lo scorso 8 agosto si è finalmente concluso nella tarda mattinata di oggi allo stadio Kasarani della capitale, dove Uhuru Kenyatta e il suo
vice William Ruto, hanno prestato il giuramento che assegna loro il secondo mandato alla guida del paese. Mentre all'esterno si svolgono duri scontri tra polizia e dimostranti, che cercano di
introdursi a forza, lo stadio straripa di folla festante. Alla cerimonia attendono oltre 40 leader di paesi amici. Si tratta in grande prevalenza di nazioni africane, ma ci sono anche quasi tutte
le rappresentanze diplomatiche europee.
Il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, che era giunto ieri per congratularsi con Kenyatta, ha però disertato la cerimonia, pare per ragioni di sicurezza, ma ha tuttavia confermato la
sua presenza al pranzo che farà seguito alla cerimonia. Sin dai tempi dell’incursione a Entebbe, quando Jomo Kenyatta autorizzò l’aereo israeliano a fare rifornimento a Nairobi, i leader
israeliani hanno sempre avuto un occhio di riguardo per il Kenya, sostenendo apertamente la riconferma di Uhuru alla carica. Del resto l’ipotesi di un successo di Raila Odinga che conta, tra i
suoi sostenitori, una larga parte della presenza islamica nel paese, non poteva certo essere tranquillizzante per la piccola nazione mediorientale che, fin dalla sua esistenza vive in stato di
permanente tensione con i paesi arabi circostanti.
Insomma, il Kenya ha finalmente il suo quarto presidente e come un’auto malandata andata in panne, può ora muoversi, se pur scricchiolante e con la lancetta in riserva, verso quei traguardi
sempre promessi e mai pienamente raggiunti. Certo che l’abbondanza di sorrisi tra Uhuru e Ruto, un tempo acerrimi nemici e che ora si dicono “fratelli”, possono suscitare qualche perplessità, ma
a queste latitudini, la coerenza non pare avere alloggio. Nei non troppo lontani disordini del 2008 i due “fratelli” di oggi, si scambiavano accuse velenose: “Un macellaio privo di
pietà”, diceva Uhuru di Ruto. “Un ubriacone affamato di potere”, replicava il rivale al suo indirizzo. Ma ora, tutto è passato e possono tornare a spartirsi tranquillamente il
potere. Del resto, un vecchio proverbio arabo suggerisce: “Bacia la mano che non hai il coraggio di mordere”.
Tutte le zone feudo del NASA – Kisumu, Migori e gli slum di Nairobi, sono rimaste relativamente tranquille e i tafferugli all'ingresso del Kasarani sembrano – almeno dalle notizie giunte fino ad
ora – provocati dagli stessi sostenitori dell’Alleanza Jubilee, inferociti perché, essendo lo stadio già pieno, la polizia aveva sbarrato l’accesso impedendo loro di partecipare alla festa. Così
purtroppo non è stato al Jacaranda Ground di Nairobi dove Raila doveva tenere una conferenza, poi annullata. Qui, i suoi sostenitori si sono abbandonati ad atti di violenza duramente repressi
dalla polizia che ha sparato causando morti e numerosi feriti.
Sembra che il sangue debba essere un’ineliminabile componente delle elezioni in Kenya. Un aspetto del tutto deprecabile di cui polizia e dimostranti devono spartirsi la colpa. Intanto, a partire
da domani, sia quelli che oggi inneggiano esaltati dalla vittoria, sia quelli che si macerano nella delusione della sconfitta, torneranno ad affrontare i problemi di sempre: il prezzo crescente
dell'ugali; una parodia di sistema sanitario; l’imperante corruzione; una sistema giudiziario dove la giustizia si
compra in soldoni; una scuola zoppicante ed esosa.
Sia il presidente riconfermato, che il suo vice, hanno assicurato che la vittoria non è la loro, ma è del popolo intero e che, a partire da domani, è solo del popolo che si occuperanno. Lo
doteranno di migliori infrastrutture; di un più efficiente sistema di trasporti e si concentreranno sul bisogno di fornire impiego a tutti. “Sarò il vostro presidente – ha detto Uhuru –
sia di voi che mi avete votato, sia di voi che avete scelto l’avversario. Mi occuperò di tutti voi con lo stesso impegno e con la stessa dedizione”.
La speranza, ma soprattutto una necessità disperata, spinge il paese a credergli.
by Africa ExPress
18 dicembre 2017
I governatori della costa keniota:
Kenyatta non è il presidente ha usurpato il potere
Sembra senza fine, tra gli schieramenti avversi, il contenzioso sul risultato elettorale dell’ottobre scorso che ha riconfermato alla carica presidenziale Uhuru Kenyatta. Con un comunicato di
ieri, “The Coast People Assembly”, cioè l’assemblea dei cittadini della regione costiera che si è riunita ieri presso l’Hotel Sun & San di Kikambala, nella contea di Kilifi, ha
formalmente deliberato che le Contee di Lamu, Tana River, Kilifi, Mombasa e Kwale, non riconoscono Uhuru come loro presidente, perché avrebbe scandalosamente usurpato il titolo a Raila
Odinga, a loro dire “unico e legittimo” capo del governo keniota.
Questa risoluzione, anche se non appare in grado di produrre effetti pratici sul piano formale, contiene però alcuni aspetti allarmanti perché i termini e le argomentazioni usate in suo sopporto,
la fanno apparire come una proclamazione secessionista, non molto dissimile da quella recentemente verificatasi nella Catalogna spagnola nei confronti della capitale Madrid (vedi Consiglio Repubblicano di Mombasa).
Le motivazioni di questa scelta sono le solite: nel manipolare il voto presidenziale per assicurarsi la vittoria, Uhuru Kenyatta, avrebbe di fatto instaurato un regime autocratico, demolendo in
un colpo tutti i principi di legalità, diritto e democrazia che con l’accesso al sistema multipartitico, instaurato nel 1992, il paese aveva faticosamente raggiunto. “There will be no
business as usual until a democratically elected President assumes office”, recita testualmente il verbale della delibera: “Non ci potrà essere ritorno agli affari e alla normalità finché
l’incarico non sarà assunto da un presidente democraticamente eletto”.
Il comunicato rivolge anche un severo monito al governo, circa la ventilata intenzione di accentrare a Nairobi la gestione del porto di Mombasa, sottraendo così alla capitale costiera il non
indifferente gettito finanziario che ciò comporta. “Se questa decisione dovesse essere presa – ammoniscono gli estensori della delibera – il popolo della costa non starà certamente a
guardare in modo inerte”. Se non si tratta di vera e propria minaccia, certo ci va molto vicino.
I cinque governatori della regione costiera, intendono anche fare appello alla Dichiarazione Internazionale dei Diritti dell’Uomo, nel cui articolo 1 si garantisce il diritto
all'autodeterminazione dei popoli, posto che la Dichiarazione in argomento è stata incorporata nella stessa Costituzione del Kenya. “Con la massima urgenza – dice ancora il comunicato –
sarà quindi indetta un’altra assemblea per ratificare ufficialmente tale autodeterminazione”.
Insomma, pare proprio che il sofferto processo elettorale, abbia fornito un’altra motivazione alle pressioni separatiste – prevalentemente islamiche – del movimento indipendentista dell’MRC
(Mombasa Republican Council) che è da anni attivo, anche in modo violento, nel perseguire questo traguardo, oltre ad essere fortemente sospettato dai servizi di Intelligence – non solo kenioti –
di collusione con i terroristi di al-Shabaab.
(Nota: il corrispondente di Africa Express è, in modo inequivoco, totalmente disinformato! Non solo i fatti lo smentiscono, ma anche le Corti del Kenya! L'Alta Corte di Mombasa e la Corte
d'Appello hanno revocato il divieto di richiesta di secessionismo, stabilendo inoltre come sia illegale sostenere che il gruppo della MRC è incostituzionale. Leggi Consiglio Repubblicano di Mombasa per avere il quadro
completo dei fatti, anziché la pubblicità non certo gratuita - in quanto espressa a proprio tornaconto - e diffamatoria del corrispondente.)
Questa costante crescita delle tensioni, che congelano investimenti e iniziative economiche, stanno portando anche alcuni sostenitori del presidente Kenyatta a chiedergli di scendere a patti con
Raila per il superiore bene del paese, ma per l’ennesima volta, lui ha risposto picche, ricorrendo anche ad espressioni sdegnose come quella rivolta a Raila dopo la sua ultima proposta di un
incontro. “Se Raila vuole parlare con il governo, parli con Ruto, non con me – ha detto Uhuru – e comunque non prima del 2022, quando scadrà il nostro secondo mandato”.
by Africa ExPress
30 gennaio 2018
Raila in un bagno di folla giura per la presidenza...
... e il governo oscura le televisioni
“La maggioranza del popolo keniota mi ha posto alla guida del paese – ha ripetuto Raila Odinga nei vari messaggi alla nazione – e non saranno gli imbrogli degli avversari a
mistificare la volontà popolare”. Forte di questa convinzione il leader del NASA, l’alleanza che si oppone al presidente in carica Kenyatta, si appresta oggi al giuramento, presso l’Uhuru
park di Nairobi, come legittimo presidente del Kenya. Insieme a lui giurerà anche Kalonzo Musioka per la carica di vice-presidente.
Nei giorni scorsi l’attesa di questo evento era stata caratterizzata da acute preoccupazioni. Negli ambienti governativi si parlava di colpo di stato; si prevedeva che Odinga e Musyoka sarebbero
stati arrestati; il capo della polizia di Nairobi aveva annunciato che ventimila poliziotti avrebbero impedito al corteo del NASA di accedere al parco in cui doveva aver luogo il giuramento.
Invece, malgrado che nella notte un cordone di polizia avesse circondato l’area, nelle prime ore del mattino gli agenti si sono ritirati, lasciando libero il campo ai sostenitori di Odinga che
stavano già affluendo a centinaia.
Vari esponenti governativi, parevano aver così optato per la moderazione, volta soprattutto ad evitare scontri e vittime. La decisione di Raila veniva ridicolizzata e definita come “nulla di
più che una puerile sciarada”. Ma poi, a sorpresa, in una conferenza stampa di ieri, lo stesso presidente Kenyatta aveva intimato ai media di non trasmettere l’evento, pena il ritiro della
licenza. Minaccia, questa, cui veniva dato scarso credito perché già ventilata in passato, ma mai attuata. Invece, verso le nove di questa mattina i collegamenti in diretta dall’Uhuru park delle
principali reti televisive nazionali – esclusa solo l’emittente di stato KBC – sono state oscurate.
L’autorità governativa che sovraintende alle comunicazioni e che ha effettuato il blocco, si è barricata all'interno della sua sede di Limuru, rifiutando di fornire spiegazioni e impedendo
l’accesso ai giornalisti, anche stranieri, che tentavano di informarsi. Nella già precaria fisionomia democratica con cui il Kenya tenta di paludarsi, questa decisione è davvero sconcertante e
non può certo giovare, in ambito sia interno che internazionale alla credibilità del governo Kenyatta. Soprattutto in presenza delle sempre più forti pressioni che, da più parti, gli chiedono di
fare un passo verso la distensione, mettendosi ad un tavolo con il rivale e trovare con lui un accordo per una gestione comune del paese. Significativo è il fatto che questi inviti, crescono ora
anche da parte dei sostenitori del governo, probabilmente stanchi di questo stallo che, ormai da oltre un anno, inchioda il paese all'inedia economica.
by Africa ExPress
1 febbraio 2018
TV ancora oscurate e il governo denunciato da editori e difensori diritti umani
Per il terzo giorno consecutivo le maggiori emittenti televisive del Kenya (NTV, KTN, Citizen, e Inoro), che fanno a capo alle principali testate giornalistiche del Paese, restano oscurate per
una controversa decisione del governo che non ha ancora motivato il grave provvedimento, mai prima d’ora sperimentato, nell'intera storia del Kenya, neppure durante il regime monopartitico di
Daniel Toroitch Arap Moi, conclusosi agli inizi degli anni ‘90.
Le trasmissioni sono state disattivate nella mattinata di martedì 30 gennaio, poco prima che Raila Odinga prestasse l’annunciato giuramento all’Uhuru Park di Nairobi e restano tuttora oscurate,
mentre vari organi di polizia parlano di generiche colpe commesse delle emittenti senza però precisare quali. Nella sua petizione presentata alla Corte, l’attivista per i diritti umani, Okiya
Omtatah dichiara che “senza nessun preavviso e senza fornire alcuna ragione, le emittenti televisive sono state oscurate in aperta violazione agli articoli 33, 34 e 35 della costituzione che
garantiscono il libero diritto di espressione”.
Insieme a lui protestano anche direttori e azionisti delle testate interessate che intendono chiedere al governo il risarcimento per i danni a provocati dal provvedimento che definiscono del
tutto illecito. “Se trasmettere l’evento di martedì è considerato un crimine – ha detto il direttore della versione online del Nation, Linus Kaiki – prima ancora di stabilire se
questa sia un’accusa fondata, dobbiamo constatare che è assurda. Come potremmo aver commesso questo presunto crimine se la trasmissione non è andata in onda? E perché ancora oggi, a distanza di
tre giorni dall'evento, le nostre emittenti restano oscurate?”
Domande cui il governo, almeno fino ad ora, non ha ancora fornito risposta. Intanto la notizia dell’oscuramento è rimbalzata su tutte le principali testate e sulle emittenti internazionali
provocando una generale riprovazione. Rebekka Rumpel, osservatrice di affari africani per la Chatham House di Londra ha definito il fatto un grave attentato alla libertà. “Questa azione
– ha detto la ricercatrice britannica – sembra far parte di una strategia volta ad erodere poco alla volta la legalità e i diritti di espressione tutelati dalla recente
Costituzione”.
Sui social network si accavallano anche le proteste popolari. “Se il giuramento di Odinga è un reato – scrive Esther Wanjiru – perché non gli è stato impedito di prestarlo, invece di
prendersela con i media?”. Il provvedimento del governo Kenyatta viene anche criticato sotto il profilo della sua efficacia. In un mondo sempre più dominato da internet, il blocco delle
emittenti televisive appare quantomeno patetico, visto che le notizie circolano comunque e il tutto serve unicamente a gettar discredito sul governo che l’ha attuato.
by Africa ExPress
2 febbraio 2018
Kenya, la Corte ordina: “Riaccendete le TV”. Ma gli schermi restano ancora spenti
Sulla petizione urgente presentata ieri dai gestori delle reti televisive e dall'associazione dei diritti umani, la Corte di giustizia del Kenya ha agito tempestivamente emettendo una sentenza
che annulla il provvedimento dichiarandolo anticostituzionale e ordina al governo l’immediato ripristino del servizio.
Tuttavia, malgrado la pronuncia giudiziaria, sia stata raggiunta nella tarda mattinata di ieri, alle undici di questa mattina le reti televisive della NTV, KTN, Citizen e Inoro; restano ancora
oscurate e non vi sono state dichiarazioni che spieghino il perché di questo ritardo nell'adempiere all'ordine della corte.
Intanto, alle varie riprovazioni internazionali che hanno risposto all'oscuramento, si è aggiunta ieri anche quella del presidente americano Donald Trump che, per bocca della sua portavoce,
Heather Nauter, ha dichiarato che “La libertà di espressione, inclusa quella spettante ai media, è essenziale alla democrazia ed è espressamente garantita dalla costituzione del
Kenya”.
Nel suo comunicato, la Casa Bianca, ha anche usato dure espressioni nei confronti di Raila Odinga per il suo gesto, definito “scriteriato”, di prestare un giuramento volto al tentativo di
usurpare una carica che non gli spetta. “Gli Stati Uniti d’America – si legge nella nota – riconoscono nel presidente Uhuru Kenyatta, l’unico e legittimo capo di stato del
Kenya”. Trump si è anche complimentato con le autorità di polizia che “si sono astenute dall'usare la forza per impedire l’evento – aggiungendo che – ogni arresto o prosecuzione
devono essere attuati nel pieno rispetto delle norme di legge.”
Questo intervento americano sembra voler anche essere la risposta a Raila Odinga che aveva ammonito gli USA a non interferire con il suo progetto di prestare giuramento come leader del movimento
di resistenza.
La portavoce, Heather Nauter, ha tuttavia reiterato la necessità che i due opponenti, rinuncino all'atteggiamento conflittuale ed optino per dei seri negoziati che portino alla coesione nazionale
per il superiore bene del paese.
Esortazione, questa, che rischia di cadere nel vuoto poiché alle due di questa mattina, una squadra di poliziotti ha fatto irruzione nella casa di Miguna Miguna, nel quartiere di Runda a Nairobi
e lo ha tratto in arresto senza – a detta dello stesso Miguna – riferire i capi d’imputazione. La notizia è stata fornita dall'interessato con una drammatica serie di messaggi via twitter al
momento dell’irruzione. Miguna, un avvocato, attivo sostenitore di Raila Odinga, è stato uno degli organizzatori del giuramento prestato martedì scorso all’Uhuru park di Naiorbi.
by Africa ExPress
4 febbraio 2018
Kenya, tv ancora spente mentre crescono collera e indignazione anche all’estero
Sale nel mondo lo sconcerto per l’atteggiamento del governo keniota che, per il sesto giorno e in aperto spregio all'ordine giudiziario, mantiene oscurate le quatto principali reti indipendenti
del paese: KTN, NTV, Citizen e Inoro. I danni per la mancata messa in onda dei loro servizi stanno già costando alle emittenti in questione centinaia di migliaia di euro e – qualora il blocco
dovesse proseguire – metterebbe anche a serio rischio la loro stessa sopravvivenza e l’occupazione dei propri dipendenti. Nello stesso giorno del giuramento di Raila Odinga, l’NMR (National
Resistance Movement) da lui fondato, è stato inserito nella lista delle associazioni criminali dal capo del Ministero degli Interni, Fred Matiang’i.
Da ogni parte del mondo giungono vibrate condanne sia a carico del governo Kenyatta, per questa illecita iniziativa, sia a carico di Raila Odinga e del suo entourage che hanno dato luogo a una
grave provocazione con la cerimonia del giuramento di martedì scorso. La BBC ha dedicato venerdì un lungo servizio sulla grave situazione che rischia di surriscaldare gli animi e portare il paese
a un’instabilità tanto più preoccupante perché vede di fatto delegittimata l’indipendenza del potere giudiziario le cui sentenze restano lettera morta. Alle varie voci di dissenso si è aggiunta
anche quella dell’ONU che per bocca di Angela Quintal, coordinatrice del “gruppo Africa”, ha definito la decisione del governo “un grave oltraggio alla libertà di opinione sancita dalla
Costituzione e dai basilari diritti umani”.
L'altro ieri, Africa Express, aveva riferito sull'arresto dell’attivista del NASA, Miguna Miguna, di cui la corte ha ordinato il rilascio per la mancata notifica delle imputazioni. Anche in
questo caso, l’uomo è stato nuovamente arrestato poche ore dopo la sentenza di scarcerazione ed è finito in cella in ulteriore spregio alla pronuncia giudiziaria. Con lui sono finiti in manette
anche il membro del parlamento di Migori, George Aladwa e quello di Ruaraka, Tom Joseph Kajwang. Si presume che questi arresti siano legati alla parte avuta dai tre soggetti nell'organizzazione
della cerimonia del giuramento di Raila Odinga, ma perché tali arresti si compiano nella legalità, dovrebbero essere effettuati con il coinvolgimento della Procura e con una chiara esposizione
delle imputazioni.
Contro l’oscuramento delle reti TV, si è levata venerdì anche la voce di Gideon Moi, senatore della contea di Baringo e figlio dell’ex presidente Daniel Toroitich Arap Moi. “Il governo ha
deliberatamente ignorato l’ordine della corte – ha detto il senatore – contravvenendo al disposto costituzionale e gettando i giornalisti in un’atmosfera d’intimidazione che mette a
rischio la loro libertà di espressione. Il servizio delle emittenti televisive dev'essere immediatamente ripristinato”. Le considerazioni di Gideon Moi assumono un rilievo ancor più
significativo perché espresse dal supremo leader del KANU, partito schierato a fianco dell’alleanza di Uhuru Kenyatta.
Del resto l’oscuramento delle reti televisive sta facendo montare lo scontento nel Paese in modo trasversale, coinvolgendo anche molti sostenitori del governo in carica che non possono più
accedere al flusso d’informazioni a cui erano abituati. Sono ormai in molti a non capire quale sia la strategia attuata dalle autorità nel persistere in questa scelta che non porta nessuno
beneficio, ma solo discredito internazionale. Inoltre, l’ostilità che il presidente Uhuru Kenyatta non si cura di nascondere nei confronti dei media, è stata confermata venerdì scorso, quando si
è recato presso la scuola di polizia per presenziare ad un nuovo progetto formativo messo recentemente in atto e ha cacciato in malo modo i giornalisti presenti, ingiungendo loro: “Prendete
le vostre cose e andatevene. Qui non avete nulla da fare”.
by Africa ExPress
8 febbraio 2018
Washington Post: “Il Kenya di Uhuru corre verso il precipizio della dittatura”
Se il percorso dalla democrazia verso un regime autocratico è annunciato dalla tipicità di alcuni segnali, il Kenya, giorno dopo giorno, li sta inequivocabilmente mostrando tutti. Uno di questi, di gran lunga il più peculiare, è quello che riguarda la libertà d’informazione. È vero che anche alcuni sistemi democratici tentano a volte di manovrare i media, blandendoli o screditandoli nei modi in cui ciò appare possibile, ma in quei sistemi la pluralità dell’informazione è tale da poter vanificare ogni tentativo di manipolazione. Ecco perché nessun leader che voglia mantenere un giusto livello di consenso internazionale, mette in campo misure vessatorie nei confronti dei media.
Stando alla cronaca degli ultimi giorni, il governo del Kenya, ha invece deciso di farlo. Ha prima imposto inaccettabili divieti di trasmissione alle emittenti televisive e poi, vedendo disatteso il suo ordine, le ha oscurate ipso facto e non solo: ha mantenuto l’oscuramento per ben sei giorni malgrado un tempestivo ordine della Corte Suprema di riattivare i servizi. Infine, dopo un ulteriore petizione che lo accusava di oltraggio alla Corte, il governo ne ha riattivate solo due che, stando a quanto sostiene il Washington Post nel suo editoriale di martedì scorso, hanno potuto tornare in rete solo accettando alcune restrizioni sui loro reportage. Un oltraggio questo, non solo ai basilari principi del diritto d’informazione e dei diritti umani in generale, ma anche un impudente schiaffo al massimo organo di giustizia del Paese che vede le sue sentenze ridotte al ruolo di fastidiose interferenze nella gestione del potere politico.
Oltretutto, la decisione governativa, è in palese contrasto al disposto costituzionale che tutela i diritti di libera espressione. “L’atteggiamento del presidente Kenyatta – recita il Washingron Post nel suo editoriale – sta portando il Paese all'autocrazia che si era lasciato alle spalle quindici anni fa e invita all'ostracismo internazionale nei confronti della sua leadership”. Una mossa, quindi, del tutto dissennata soprattutto nei confronti di un Occidente che non ha ancora del tutto digerito la farsa del procedimento, contro Uhuru e Ruto, presso il tribunale internazionale ONU per i crimini contro l’umanità. Procedimento vanificato da misteriose scomparse di testi e sospette ritrattazioni dell’ultima ora. Ma ancora più sbalorditiva, per gli osservatori internazionali, è stata l’improvvisa alleanza dei due contendenti, Uhuru e Ruto – che oggi si definiscono “fratelli” – il cui aspro confronto, nel 2008, aveva causato oltre mille morti.
“Se il presidente Kenyatta avesse semplicemente ignorato il giuramento burla di Raila Odinga – si legge nell'editoriale – avrebbe dimostrato le qualità di un vero e saggio statista, lasciando l’intero biasimo al suo rivale, il cui gesto era già stato universalmente condannato. Invece ha scelto di adottare un puerile atteggiamento vendicativo, infrangendo le leggi del suo Paese e trasferendo su se stesso la dura riprovazione internazionale”. Questo, secondo l’autorevole giornale americano, porterà gravissimi danni al Kenya, visto che l’amministrazione Trump pare avere già all'esame azioni punitive contro il governo Kenyatta, che includerebbero sanzioni commerciali e la sospensione dei programmi di aiuto. Scelte che, se realmente adottate, potrebbero fatalmente essere presto seguite anche dall'Europa.
Fino ad oggi, però, Uhuru Kenyatta – che mostra di essere ben lontano dalla lungimirante saggezza paterna – vive questo orgasmo di potere, mostrandosi convinto che tutto gli sia concesso. Ha disposto il ritiro di quattordici passaporti appartenenti a membri dell’opposizione. Miguna Miguna, l’avvocato del NASA, rilasciato e poi nuovamente arrestato, è infine stato deportato in Canada, paese in cui Miguna gode della doppia cittadinanza e si è visto revocare dall'autorità per l’immigrazione la cittadinanza del Paese in cui è nato. Anche in questo caso si tratta di un atto illecito chiaramente contemplato dalla legge. Legge di cui Uhuru Kenyatta, mostra sempre più platealmente di non volersi curare.
Se il giuramento prestato da Raila Odinga il 30 gennaio scorso è considerato dalla giustizia un atto di tradimento, Kenyatta avrebbe avuto due opzioni: arrestarlo e portarlo davanti ai giudici per farlo condannare, oppure, per evitare la violenta e presumibile reazione dei suoi sostenitori, ignorarlo e proseguire nella sempre più impellente governance del paese. Invece, come un barcaiolo che si trovi con un piede sul molo e uno sulla barca che sta allontanandosi, ha deciso di proseguire nella sua vendetta, ma senza il coraggio necessario per attuarla fino in fondo. Il maggior responsabile del giuramento all’Uhuru Park e senz'altro Odinga, ma Kenyatta si guarda bene dall'arrestarlo e sceglie di perseguire solo le comparse che ruotavano intorno al rivale, aggiungendo così alla puerilità, anche un evidente segnale di timorosa debolezza.
Intanto, mentre quotidiane dimostrazioni sono in atto a Kisumu, Migori e altre roccaforti del NASA, Raila Odinga, in un’intervista rilasciata alla BBC, ha dichiarato che intende chiedere la
ripetizione delle elezioni presidenziali nel prossimo agosto. Altre cupe nubi si addensano quindi sul futuro del Kenya, con l’ennesima frustrazione per i suoi abitanti che vedono il fondo del
tunnel sempre più buio. Non è da escludere che Kenyatta, irritato dalle critiche occidentali, decida di rifugiarsi nelle braccia spalancate del partner cinese, essendo certo che da lì non gli
perverranno ramanzine e su questo avrebbe certamente ragione. Un Paese che ancora impicca i propri dissidenti, non starà certo a disquisire su insignificanti dettagli come diritti umani e libertà
di stampa.
by Africa ExPress
9 marzo 2018
Prove di distensione in Kenya: il presidente Kenyatta incontra il suo rivale Raila Odinga
Questa mattina Uhuru Kenyatta e Raila Odinga si sono incontrati presso l’Harambee House di Nairobi offrendosi alle telecamere e ai fotografi con smaglianti sorrisi e vigorose strette di mano. Quel patto che il Paese attendeva con ansia sin dall'agosto scorso, è stato finalmente raggiunto. I due leader politici che con il loro aspro antagonismo avevano spaccato in due l’elettorato, hanno fatto finalmente prevalere il buon senso ed il bene comune.
Nel loro annuncio ai giornalisti presenti, Uhuru e Raila, hanno assicurato che i loro rispettivi schieramenti, Jubilee e Nasa, lavoreranno insieme perché il Kenya ha urgente bisogno di riforme che rilancino la sua economia, prostrata da oltre un anno per l’atmosfera d’incertezza che si era venuta a creare a seguito del prolungato stallo politico e per i continui e violenti scontri di piazza.
Al momento in cui scriviamo, non risulta che Raila Odinga, abbia pubblicamente riconosciuto la legittimità della nomina alla massima carica dello Stato del suo rivale, né è ancora chiaro quale posizione Raila ricoprirà nel dare esecuzione a questo accordo. Entrerà nel governo Kenyatta, o darà solo il suo supporto esterno su scelte tra loro concordate? Impossibile per ora ipotizzare risposte anche perché i due non hanno accettato domande dai giornalisti ed hanno chiuso l’incontro subito dopo il loro annuncio congiunto.
Secondo alcuni commenti della stampa locale, la decisione di Raila Odinga di procedere a un accordo con Kenyatta, deriverebbe dal fatto di non aver ricevuto supporto dai suoi più stretti alleati che, nella cerimonia del giuramento spurio all’Uhuru park di Naiorbi, l’hanno lasciato solo palesando così la propria contrarietà alla sua iniziativa. Musalia Mudavadi, Kalonzo Musyoka and Moses Wetang’ula, che non hanno presenziato a tale giuramento, non hanno per ora rilasciato dichiarazioni circa l’accordo tra i due leader.
Sempre da commenti non confermati, Raila si sarebbe anche irritato per voci ricorrenti sulla possibilità di spaccature e defezioni all'interno della sua alleanza. Un’altra presunta ragione che l’avrebbe portato all'accordo con Kenyatta, potrebbe anche essere costituita dall'imminente arrivo in Kenya del segretario di stato americano Rex Tillerson al quale, entrambi i contendenti, hanno interesse a non offrire un’immagine di permanente conflittualità tra di loro.
by Africa Express
13 marzo 2018
Kenya: licenziati in tronco 400 poliziotti del traffico corrotti
Li incontriamo immancabilmente ogni volta che percorriamo le strade del Kenya. Si distinguono dai loro colleghi, impegnati in altri servizi, perché indossano un cappello a visiera di colore bianco. Appartengono alla “Traffic Police”, il corpo temuto da tutti gli automobilisti del Kenya. Telefonini dalle mille e più funzioni, telecamere non più grosse di uno spillo e la sempre più marcata intolleranza dei cittadini ai loro frequenti soprusi, hanno finito per metterli davvero in croce.
Nel pomeriggio di ieri il capo della National Police Service Commission (NPSC), Johnston Kavoludi, ha annunciato il licenziamento in tronco di oltre 400 agenti del traffico sorpresi con le dita nella marmellata, cioè colti ad estorcere il famigerato Kitu-Kidogo (bustarella) ai malcapitati utenti stradali. Per il Kenya, si tratta di una decisione davvero epocale poiché il numero degli agenti colpiti dal provvedimento rappresenta circa il dieci per cento dell’intera forza del corpo in questione.
È una decisione che doveva già essere presa da tempo – ha precisato Kavoludi – poiché il dipartimento della polizia stradale è risultato essere quello più corrotto dell’intero corpo di polizia”. L’alto funzionario ha inoltre aggiunto che, d’ora in poi, “a nessun agente saranno riconosciuti passaggi di grado né benefici di pensionamento, se non in presenza di un certificato che attesti la loro assoluta integrità nello svolgimento del servizio”. L’iniziativa di Kavoludi ha creato un vero e proprio terremoto tra le forze di polizia, ma non c’è dubbio che costituirà un poderoso deterrente affinché il malvezzo di estorcere denaro, agli spesso incolpevoli automobilisti, possa finalmente cessare.
Disparate e anche contrastanti le reazioni del pubblico a questa inattesa decisione. I più si complimentano con Kavoludi per aver finalmente messo mano a un’intollerabile piaga che affligge il paese e che denigra un corpo posto al servizio dei cittadini e della giustizia. Altri obiettano che il capo del NPSC non ha l’autorità di licenziare nessuno, ma solo funzioni di monitoraggio. Altri ancora temono che i poliziotti licenziati vadano ad ingrossare le file della criminalità, tendenza, questa, che si è peraltro già verificata in passato, non solo con poliziotti congedati, ma anche con altri in regolare servizio.
Questa disdicevole pratica, benché sia purtroppo ampiamente diffusa tra le forze dell’ordine al punto da far loro meritare una ben poco onorevole classifica internazionale (La polizia del Kenya è tra le tre peggiori al mondo) nuoce soprattutto a quei pochi agenti onesti che, pur nella difficoltà di operare in un ambiente profondamente aggredito dalle metastasi della corruzione, non rinunciano alla propria integrità ed è soprattutto a protezione della loro dignità che l’azione intrapresa da Kavoludi esprime la sua efficacia.
Comunque sia, dopo ben sei differenti governi che, dopo Jomo Kenyatta, si sono installati al potere e malgrado le ripetute asserzioni di voler combattere con fermezza la corruzione che affligge ogni pubblica funzione del paese, questa è la prima volta – se la decisione avrà il seguito annunciato – che è stata effettuata una scelta pratica, passando dalle mere promesse alle attuazioni. Un importante segnale per la nazione, utile a rafforzare la fiducia nelle istituzioni e un più sereno percorso verso la legalità e la reale emancipazione.
by Africa Express
18 marzo 2018
Kenya, testimoni corrotti: riaperto il processo internazionale contro Kenyatta e Ruto
La notizia – diffusa nel tardo pomeriggio di ieri da un quotidiano online – rimbalza oggi su tutte le testate nazionali: l’ICC (International Criminal Court) ha incaricato tre giudici, Robert Fremer, Alapini Gansou e Kimberly Prost, di riaprire il procedimento penale contro il presidente e il vicepresidente del Kenya per crimini conto l’umanità in conseguenza delle gravi violenze esplose nel dopo elezioni 2007 quando oltre 1300 persone persero la vita e altre 600 mila furono costrette ad abbandonare i propri luoghi di residenza.
I due, insieme al giornalista Joshua Sang, accusato d’incitamento alla violenza, furono prosciolti con formula dubitativa nel 2014 con gran disappunto degli accusatori, incaricati di produrre le evidenze per le imputazioni a loro carico. Questo avvenne perché, uno dopo l’altro i testimoni a supporto delle accuse, sparirono, ritrattarono o risultarono inattendibili. La formula pronunciata dalla corte fu infatti di proscioglimento per insufficienza di prove.
Venerdì scorso il Tribunale Internazionale, sul suo sito ufficiale, ha annunciato la nomina del nuovo team di accusatori e la costituzione del collegio giudicante la cui composizione sarà completata entro il prossimo 20 marzo. Benché a fronte del precedente giudizio, gli allora incaricati dell’accusa, espressero riserva di fare ricorso in appello, nessuno si attendeva che la procedura di incriminazione sarebbe ripresa, tant'è che la prima e discussa intenzione, annunciata dal governo, di revocare il riconoscimento della Corte Internazionale, rientrò subito dopo il proscioglimento dei due accusati e fu l’allora Procuratore Generale del Kenya, Githu Muigai, a riconfermare il supporto del suo paese all'alto tribunale.
Al momento in cui scriviamo, le grandi testate internazionali non si sono ancora espresse al riguardo della decisione dell’ICC, né lo hanno fatto i due principali indiziati che detengono le più alte cariche dell’esecutivo. Certo è che, dopo gli allarmanti eventi che hanno fatto seguito alle recenti elezioni presidenziali, finalmente superati con la collaborazione espressa pochi giorni fa dagli schieramenti opposti, pareva che il Kenya potesse avviarsi più serenamente verso un futuro di stabilità, concentrandosi sui più urgenti affari di stato a beneficio del paese. Oggi, invece, tutto ripiomba nell'apprensione e nell'incertezza.
Del resto, che la Corte avesse mal digerito gli esiti dei primo processo contro Kenyatta e Ruto, lo dimostravano le dichiarazioni allora espresse senza perifrasi dal capo del team dell’accusa, signora Fatou Bensouda: “gli imputati hanno minacciato, intimidito o corrotto, tutti i testimoni a loro carico”. Non è chiaro su quali nuovi elementi la Corte abbia ora deciso di riaprire il caso contro gli accusati, ma è ragionevole assumere che l’abbia fatto in ragione di altre circostanze non note nel primo procedimento e che ora sono venute alla luce a fronte di ulteriori investigazioni.
by Africa ExPress
17 aprile 2018
Kenya, 3 membri della commissione elettorale sfiduciano il loro presidente e si dimettono
Le dimissioni sono state annunciate ieri, in una conferenza stampa presso lo Stanley Hotel di Nairobi, da Connie Nkatha (vicepresidente della Commissione elettorale) e dai membri Paul Kurgat e
Margaret Mwachanya. La loro fuoriuscita lascia l’organo che gestisce il processo elettorale del Paese, con soli due componenti: Abdi Guliye e Boya Molu, oltre al presidente Wafula Chebukati.
L’IEBCE resta quindi priva del quorum necessario per deliberare.
La notizia di queste dimissioni non ha troppo sorpreso gli osservatori poiché erano mesi che, all'interno dell’organo in questione, si erano evidenziati forti tensioni e dissapori. “Il grave
deterioramento della nostra fiducia nella conduzione del presidente Chebukati – hanno detto i tre dimissionari per bocca della loro portavoce Connie Nkatha – ci ha costretti, se pur
spiacenti, a dimetterci dall'incarico con effetto immediato”.
Queste dimissioni, dopo quelle di Roseline Akombe, che aveva sollevato gravi perplessità nella pubblica opinione per la sua fuga negli Stati Uniti – a suo dire motivata da seri rischi per la
propria incolumità – e la sospensione dell’idolo delle signore Ezra Chiloba, gettano una luce sempre più sinistra sulla conduzione della Commissione elettorale da parte del presidente Chebukati,
il quale, tuttavia, afferma di voler continuare a condurre l’attività dell’organo cui presiede nella formula del “business as usual”, cioè: tutto come normalmente previsto.
Non è di questa idea il senatore James Orengo dell’alleanza NASA di Raila Odinga. “Questa Commissione elettorale è maledetta – ha lapidariamente affermato – le dimissioni di tre dei
suoi membri sono il sintomo del cancro incurabile da cui è affetta e mette in seria discussione la legittimità dell’attuale amministrazione dell’alleanza Jubilee (quella che fa capo
all'attuale presidente Uhuru Kenytta) confermando che i risultati delle scorse elezioni sono il frutto di una gigantesca frode”. Alle proteste di Orengo si sono unite anche quelle di
Paul Muite e Nzamba Kitonga, due famosi avvocati impegnati da anni nella difesa dei principi della democrazia, solidali nell'affermare che l’IEBC è impossibilitata ad operare e deve quindi essere
sciolta per poter essere validamente riformata.
Da parte sua, il presidente Chebukati, si mostra ben intenzionato a voler mantenere la carica e accusa invece i tre dimissionari. “La loro scelta – afferma in un comunicato rilasciato la
notte scorsa – dimostra l’incapacità a gestire e a conciliare le naturali divergenze che possono sorgere all'interno della commissione nei più critici momenti della sua esistenza”.
Chebukati ha anche sollecitato il parlamento a pronunciarsi quanto prima per nominare quattro nuovi membri che riportino a sette le cariche previste per l’attività della commissione.
Le accuse dei tre dimissionari sono comunque inequivocabili: “La commissione elettorale – si afferma nel loro comunicato – è diventata la sede in cui si spaccia disinformazione; il
luogo di produzione di sfiducia e lo spazio favorevole alle arrampicate individuali per i propri interessi e la propria gloria. Abbiamo assistito alla sparizione di documenti ufficiali e a
continue decisioni arbitrarie che non ci sentiamo più di condividere”.
by Africa ExPress
19 aprile 2018
Kenya, il vicepresidente Ruto compra il suo quarto elicottero da 9 milioni di euro
Ebbe il suo primo paio di scarpe a quindici anni, quando iniziò a frequentare le scuole secondarie. Oggi, dopo 36 anni, possiede un patrimonio stimato in due miliardi di euro, oltre a diverse auto di lusso e quattro elicotteri personali. Tra questi, l’ultimo acquisto: l’avanzatissimo e sofisticato Chopper H145 dell’Airbus francese, che porta otto persone ed è abilitato anche al volo notturno. Il costo? Una vera inezia per l’enfant prodige che detiene la seconda carica dello stato: solo nove milioni di euro!
William Samoei Ruto, di etnia kalenjin, è nato nel dicembre del 1966, da una famiglia poverissima a Kamagut, nella contea di Usain Gushu. Quinto di otto fratelli (tre maschi e cinque femmine), affrontò con ammirevole determinazione e alto profitto il suo processo educativo. Nel 1990 conseguì la laurea in botanica e zoologia presso l’Università di Nairobi e nel 2011 completò un master nelle stesse discipline. Nel 1991 contrasse matrimonio con l’attuale moglie Rachel da cui ebbe sei figli. Il suo attaccamento alla famiglia è ritenuto tra i più esemplari dell’intera nazione.
Tenace alleato di Raila Odinga durante la campagna elettorale del 2007, si scontrò aspramente con Uhuru Kenyatta. Confronto che valse a entrambi l’incriminazione presso l’ICC (Tribunale Internazionale per i crimini contro l’umanità) a causa dei sanguinosi scontri tra i diversi raggruppamenti politici che causarono oltre mille vittime. I due furono poi prosciolti per insufficienza di prove, ma recentemente è stata richiesta la riapertura del caso (vedi sopra 18 marzo 2018).
Nel 2013, William Ruto – dimostrandosi tanto abile quanto spregiudicato – salì al potere come vice presidente a fianco del vecchio avversario e da quel momento il rafforzamento del suo patrimonio fu vertiginoso, fino a farlo ritenere uno degli uomini più ricchi della nazione. Non sono però in pochi a domandarsi quali sono le fonti di tali arricchimenti. I siti online, VenasNews e BusinnessToday, ne forniscono una curiosa disamina sintetizzata qui di seguito.
Posto che nella sua qualità di vicepresidente del Kenya, William Ruto percepisce uno stipendio mensile di 20 mila euro, VenasNews si domanda in quale forma effettuerà il pagamento dell’ultimo elicottero acquistato, visto che anche utilizzando a questo scopo, la metà della sua remunerazione, impiegherebbe 75 anni per saldare il conto del suo prestigioso gioiello. Come ha potuto, allora, permettersi questo acquisto? E come ha potuto crearsi il citato patrimonio di due miliardi di euro?
Le domande sono ovviamente retoriche, visto che William Ruto, oltre ad essere considerato un padre amorevole, un marito fedele, un buon cristiano timorato di Dio, un politico ricchissimo, è anche largamente ritenuto l’uomo più corrotto del Kenya. Non ci si sorprenda per queste apparenti contraddizioni. Anche le residenze dei boss mafiosi nostrani sono costellate d’immagini sacre e le loro famiglie sono tenute in un palmo di mano e anche a loro, una gran parte del popolo, tributa riverenza, timore e rispetto.
William Ruto è cresciuto politicamente grazie al costante supporto del suo potente tribesman Daniel arap Moi che dopo la morte di Jomo Kenyatta gestì ininterrottamente il potere fino al 1997, ma come si è visto, l’ecletticità di Ruto, gli ha consentito di ritagliarsi un prestigioso spazio sul ponte di comando, anche quando il potere è passato nelle mani dei (fino ad allora) odiati kikuyu e coltiva ora il progetto di candidarsi alla presidenza nelle prossime elezioni del 2022. Del resto come saggiamente consiglia l’adagio inglese: “If you can’t beat them, join them” (se non puoi batterli, unisciti a loro). William, il poliedrico enfant prodige del Kenya, sembra aver saputo far tesoro di questo suggerimento.
by Africa ExPress
13 maggio 2018
In Kenya le studentesse sono criminali, prostitute e portatrici di HIV
A sostenere che in Kenya le studentesse universitarie sono criminali, prostitute e portatrici di AIDS non è una malevola voce di popolo, ma l’autorevole CUE (Commission for University
Education) che mercoledì scorso ha presentato un esplosivo rapporto alla ministra per l’Istruzione, Amina Mohamed, affinché il governo adotti le necessarie misure atte a contrastare il
deprecabile fenomeno.
Secondo gli estensori del rapporto – che si sono pronunciati dopo lunghe e approfondite investigazioni all'interno dei campus – le giovani studentesse universitarie avrebbero creato una vera e
propria organizzazione criminale che pianifica ed esegue vari reati, sia nella sfera della competizione politica, sia in quella sociale con la messa a punto di furti, frodi e prostituzione, cui
una gran parte delle ragazze si dedicherebbe disinvoltamente mercificando se stesse e organizzando il meretricio con i concetti imprenditoriali, volti a ottimizzare il profitto, appresi nel corso
dei loro studi.
Notizia, questa, davvero sconvolgente che fa impallidire la leggenda delle giovani e avvenenti ragazze – immancabilmente autodefinite “studentesse” – che pattugliano bar e discoteche del Paese
per rimpinguare il proprio gruzzoletto a caccia di anziani facoltosi, ma ancora soggetti a nostalgici pruriti giovanili. Naturalmente non si tratta di studentesse, ma di semplici ragazze di vita
che, impossibilitate a fornire indicazioni sulla loro professione, millantano la frequenza ai corsi universitari. Ora, però, stando al rapporto del CUE, la finzione è scomparsa. Si tratta proprio
delle giovani laureande che ricorrono all'antico mestiere. L’unica differenza tra loro e le usurpatrici del titolo è che le prime sembrano saperlo fare in modo molto più efficiente e
organizzato.
Lo scopo di queste “diligenti” studentesse, che all'occorrenza sanno trasformarsi in novelle maliarde, non sembra solo quello di far cassa, ma anche di concupire i commissari d’esame per accedere
più facilmente – e senza troppo riguardo ai meriti effettivi – ai gradi d’istruzione superiori se non addirittura alla laurea. Il rapporto rivela anche che l’accertamento della realtà, esposta
nel documento, è stato oltremodo difficoltoso per la granitica omertà mostrata dall'intero corpo studentesco e – in alcuni casi – anche dagli stessi docenti e commissari d’esame.
Inoltre, secondo il giornalista investigativo Gah Kuu, del quotidiano “The Nation”, le giovani che lasciano le zone rurali d’origine per frequentare le università cittadine, si trovano di colpo
catapultate in una realtà molto più permissiva e tentatrice, di quella severa e patriarcale che avevano vissuto fino a quel momento e spesso, trascinate dall'euforia giovanile, si abbandonano
alla trasgressione, soprattutto caratterizzata da una nuova e finalmente libera promiscuità sessuale cui si dedicano con crescente disinvoltura motivata dal proprio piacere o dall'opportunità di
procurarsi del denaro, poiché quello fornito dalle famiglie è del tutto insufficiente a fornire loro lo status, l’abbigliamento e le divagazioni tipiche di una laureanda di classe.
Questa situazione ha permesso anche al virus HIV di diffondersi rapidamente creando una preoccupante possibilità di contagio nei confronti dei partner occasionali e come loro altrettanto
disinvolti nel dedicarsi al sesso non protetto. Accade anche che alcune studentesse, una volta accertata la loro positività all'infezione, si vendichino impietosamente, trasferendola a tutti i
partner futuri. Anni fa, una studentessa dell’Università di Nairobi, aveva addirittura appeso nella bacheca dell’ateneo un foglio in cui denunciava il suo stato ed elencava i nomi di tutti gli
uomini con cui aveva avuto rapporti intimi, augurandosi di aver loro trasmesso l’infezione.
L’intero rapporto fornito dal CUE al governo, che presumibilmente sarà molto più dettagliato e corposo delle scarse notizie fino ad ora fornite dai membri della commissione, sembra – stando
almeno a queste parziali informazioni – esclusivamente riferito alle studentesse e non menziona i loro colleghi maschi. Un fatto, questo, abbastanza curioso, la cui singolarità sarà probabilmente
spiegata quando (e se) l’intero rapporto sarà reso pubblico.
Insomma, chi riponeva nelle generazioni future – meglio istruite e con più pragmatiche visioni strategiche circa la gestione della cosa pubblica – la speranza di fare uscire il Paese da secoli di
arretratezza, incapacità, illegalità e indebiti privilegi, non può che restare amaramente deluso da quanto ha svelato il rapporto del CUE. Se le università di oggi si sono rivelate il cuore
dell’apparato nazionale in cui si pianifica e si compie il crimine, quante altre generazioni occorreranno perché il Kenya riesca finalmente a dotarsi di una classe dirigente proba e capace votata
a combattere la corruzione, il nepotismo e l’illecito?
by Africa ExPress
14 maggio 2018
85 milioni di euro, l’ennesimo scandalo del Servizio Giovanile Nazionale del Kenya
Ancora una volta il National Youth Service (NYS) è accusato di un’imponente frode a danno dei contribuenti e sembra davvero impossibile che malversazioni di questa portata possano sfuggire ai
controlli governativi fino a raggiungere – in un Paese in cui il salario mensile medio pro-capite non supera i 150 euro – gli 85 milioni scoperti soltanto in quest’ultima circostanza.
Lo Youth National Service fu fondato nel 1964 come corpo ausiliario alle necessità militari e a quelle della protezione civile. Fino al 1980 il reclutamento era obbligatorio e tutti i giovani
erano tenuti a prestare sevizio nel corpo prima di poter accedere agli studi universitari. Oggi, invece, l’adesione all’NYS avviene solo su base volontaria. I giovani possono scegliere, all'atto
dell’ammissione, se essere addestrati come truppe di supporto a quelle del KDF (Kenya Defence Force) oppure alle varie specializzazioni previste in campo tecnico. Nel 2013 il presidente Uhuru
Kenyatta, per alleviare la crescente disoccupazione, decise di aumentare il numero dei partecipanti estendendo anche i loro campi d’intervento.
Nel quartier generale di Gilgil, nel Rift Valley, i giovani del NYS vengono addestrati alle attività paramilitari o civili a seconda delle specializzazioni da loro scelte e alle quali sono
risultati idonei. Dal 2016 la direzione generale del servizio è stata affidata a Richard Ethan Ndubai, dopo le dimissioni coatte del suo predecessore Nelson Githinji per una precedente serie di
ammanchi e di frodi che ammontavano a decine di milioni di euro. Tali scandali costringevano anche la ministra del Devolution and Planning Ministry, Anne Waiguru, a lasciare l’incarico.
I malvezzi del passato, non sembrano però aver creato un deterrente al loro ripetersi, visto che oggi, il nuovo direttore Ndubai, si trova coinvolto in uno mega-scandalo di portata ancora
superiore ai precedenti. Questi ultimi 85 milioni di euro, scomparsi dalle casse dell’NYS, sarebbero stati pagati, stando ai riscontri contabili, a fronte delle fatture di varie aziende di fatto
inesistenti, ma non è tutto: alcune di questa società fantasma, sarebbero le stesse che risultavano già coinvolte nelle precedenti frodi attuate nel 2015.
Lo scandalo è ora nelle mani del procuratore generale Noordin Haji e del capo del Criminal Investigation Department (CID) George Kinoti. Sembra che il malaffare coinvolga alti funzionari dell’NYS
e preminenti personalità governative, oltre ai loro complici esterni che risultavano i beneficiari delle somme illecitamente sottratte. Al momento, come ha dichiarato, Haji, le investigazioni
sono in corso e non sono stati fatti i nomi dei presunti responsabili, che tuttavia vengono già indicati nel numero di ventitré.
Malgrado le frequenti dichiarazioni del governo di volerla combattere, la corruzione in Kenya, appare sempre più tenacemente radicata nella mentalità e nei costumi della Nazione. Alcune
iniziative adottate nel recente passato, di istituire organi di controllo per combatterla – come i nuclei anti-corruzione – non hanno fatto altro che favorire una proliferazione delle occasioni
in cui la bustarella diventa l’unica via per ottenere ciò che si desidera, sia esso lecito o no.
Inadeguate e del tutto inefficaci, sono anche le misure prese nei confronti dei corrotti che – una volta individuati – vengono spesso semplicemente trasferiti o sospesi dal servizio per poi
esservi silenziosamente reintegrati quando le loro colpe, incalzate da altri simili eventi, non fanno più notizia. Neppure sembra aver peso la furiosa reazione di molti cittadini che sui social
network danno sfogo al loro risentimento, con la mortificante sensazione della propria assoluta impotenza a cambiare il corso delle cose.
by Africa ExPress
Attualmente, l’economia si basa sulle esportazioni soprattutto di prodotti agricoli (banane, tè, caffè, ecc.) e sul turismo.
L’agricoltura costituisce la base dell’economia del Paese e occupa oltre l’80% della popolazione. Secondo il censimento del 2003, il settore agricolo aveva assunto il 75% della forza lavoro totale del Kenya. L’agricoltura keniota è molto sviluppata lungo la fascia costiera, dove grazie al clima ovvero a piogge abbondanti durante tutto l’anno, si ha la crescita di una flora diversificata e rigogliosa. Nello specifico in campo agricolo il cereale più coltivato è il mais che occupa il 62% dei territori agricoli mentre manioca e sorgo vengono coltivati nelle terre meno fertili e utilizzati soprattutto dagli abitanti.
Inoltre, nel Paese vi è la presenza di compagnie multinazionali straniere che detengono diverse piantagioni per la produzione di caffè, tè, banane, cocco e il sisal (fibra tessile ricavata dalle foglie di agave sisalana utilizzata per la costruzione di corde, spaghi, ceste, tappeti e altri manufatti artigianali), prodotti che vengono poi esportati.
L’allevamento di bovini e di ovini è molto praticato soprattutto dai popoli seminomadi.
Con la sua posizione strategica, la presenza di un sistema infrastrutturale migliore rispetto ai Paesi limitrofi e l’utilizzo della lingua inglese dalla maggior parte della popolazione, il Kenya dovrebbe essere uno dei mercati più appetibili agli occhi degli investitori stranieri.
Il Kenya potrebbe offrire molteplici opportunità su vari fronti: dal settore dell’allevamento all'agricoltura, dalle telecomunicazioni ai trasporti, dal turismo all'industria in generale.
Sebbene situato in una regione turbolenta dell’Africa, flagellata nel tempo da conflitti interni ed internazionali, ha saputo conservare una certa stabilità, anche grazie all'opera di mediazione condotta rispetto alle crisi regionali.
Attualmente il Kenya può considerarsi uno dei leader dell’Est Africa dal punto di vista economico e commerciale, ma la corruzione imperante in ogni livello sociale è uno degli ostacoli più grandi che impedisce al Paese di svilupparsi. In effetti, è considerata una delle maggiori sfide che il popolo è tenuto a vincere per non rimanere un paese del terzo mondo. La corruzione colpisce in ogni dove, aumentando le diseguaglianze, scoraggiando i finanziamenti e gli aiuti esteri.
La corruzione in Kenya ha rovinato le scuole e gli ospedali, il settore agricolo e industriale, le strade e i paesaggi, ma soprattutto ha rovinato le persone. Il Kenya è classificato al sesto posto per la corruzione su scala mondiale ed al primo posto in Africa. Come in altri paesi, l'impedimento principale allo sviluppo è proprio la corruzione, poiché arretra la società e aumenta la disoccupazione. Il Kenya, nella pratica di ogni giorno, dimostra che non vuole vincere questa battaglia. Questo aspetto della corruzione è presente in ogni situazione specie se si deve avere a che fare con la polizia.
In Malindi la polizia arrotonda lo stipendio ricattando i turisti, terrorizzandoli con le manette solo per avere soldi. Gli stranieri, che vivono a Malindi da anni, raccontano che chi ha provato a denunciarli ha passato solo dei guai. La polizia locale è troppo forte e si metterebbero d'accordo per far risultare che quello che dichiara lo straniero, specialmente se turista, è falso e subirebbe solo delle conseguenze negative (arresto e/o ritiro del passaporto impedendo per mesi la dipartita dal Paese).
C'è chi si chiede come mai il governo, perfettamente consapevole, non faccia nulla.
Ma la risposta è semplice: conviene che il Kenya sia un paese del terzo mondo, conviene che ci sia il turismo sessuale, conviene che i suoi uomini abbiano come sogno quello di farsi spedire i soldi dalla gallina vecchia straniera, conviene che le donne si prostituiscano e conviene mantenere la figura delle donne africane incinte contornate da una marea di bambini.
In questo Paese, se così si può chiamare, tutto è convenienza!
In Kenya, a marzo 2017, il debito pubblico lordo ha raggiunto i 40,4 miliardi di dollari.
Ad aprile 2017, l'inflazione ha raggiunto l'11,48% e un chilogrammo di zucchero veniva venduto a più di 2 dollari, così come la farina di mais (unga) per una confezione da due chili.
Il valore dello scellino è sceso da un picco di Ksh 86.44 contro il dollaro nel marzo 2014 a Ksh 103 nel maggio 2017.
A luglio 2017 Il tasso di disoccupazione in Kenya ha raggiunto il 40% della popolazione adulta, un tasso elevatissimo anche rispetto agli standard africani.
25 novembre 2015
Il presidente Uhuru Kenyatta decideva un rimpasto di governo, con un cambio ai vertici dei ministeri per l’Energia, l’Agricoltura, i Trasporti e il Lavoro. Kenyatta ribadiva che la corruzione costituisce una “minaccia alla sicurezza nazionale”. Tutti i ministri sostituiti -riferiva il quotidiano The Standard- erano coinvolti in scandali per corruzione.
Pure il ministro per la Devolution, coinvolta in una vicenda relativa a tangenti, si era dimessa denunciando “problemi di salute, causati dal clima velenoso e le false accuse” che le venivano mosse.
Kenyatta, eletto nel 2013 dopo aver incentrato sulla lotta alla corruzione la sua campagna elettorale, annunciava inoltre una nuova legislazione in materia che prevedeva la decadenza degli incarichi pubblici in caso di corruzione e il ritiro delle licenze per le banche che non rispettavano le norme antiriciclaggio.
I critici lo accusano di non aver mantenuto finora, le promesse fatte e di aver affrontato solo marginalmente il problema di una corruzione imperante in tutti i settori della pubblica amministrazione.
Tra gli scandali che hanno investito il governo keniota, ci sono una serie di vicende legate al land grabbing, truffe in materia di appalti e l’incapacità, da parte dei ministri competenti, di spiegare come sono stati spesi circa 2.75 miliardi di dollari in Eurobond raccolti sui mercati internazionali nel 2014.
Le stesse forze armate keniote sono al centro di una bufera, con l’accusa di essere coinvolte in un traffico di zucchero di canna dalla Somalia, che peraltro prevederebbe un’alleanza con gli insorti al Shabaab che l’esercito dovrebbe combattere, per un giro d’affari di 400 milioni di dollari l’anno.
7 aprile 2017
KENYA 6° PAESE PIÙ CORROTTO DEL MONDO, 1° IN AFRICA
Il Kenya è la nazione più corrotta dell’Africa e il sesto Paese del mondo in questa speciale e disdicevole classifica delle cattive abitudini, stilata ogni due anni dall'istituto americano EY Fraud Survey.
10 dicembre 2017
KENYA: UHURU E RUTO ACCUSATI DI GESTIONE NON TRASPARENTE DEI FONDI PUBBLICI
Non solo il Kenya è la nazione più corrotta dell’Africa, ma l'ennesima inquietante accusa è stata lanciata dal capo della pubblica amministrazione, Edward Ouko, verso i
neo-rieletti Uhuru Kenyatta e William Ruto alle rispettive cariche di presidente e vice presidente dell’ex colonia britannica. Si tratterebbe di una gestione quantomeno disinvolta dei fondi
assegnati alla “State House” (equivalente del nostro Quirinale) per le sue attività diplomatiche da svolgersi nell'ambito di un budget che non viene reso pubblico, così come non vengono rese
pubbliche le varie voci di spesa, proprio a garanzia dell’assoluta discrezionalità delle due massime autorità dello stato.
Tuttavia, benché la legge garantisca tale discrezionalità e segretezza, queste spese devono essere documentate e risultare plausibili all'esame del capo della pubblica amministrazione il quale ha
dichiarato che negli ultimi tre anni, Uhuru ed il suo vice, hanno prelevato dal fondo in questione, la non indifferente somma di oltre 22 milioni di euro, producendo una documentazione
insufficiente a giustificarle e addirittura avendo effettuato spese totalmente prive di documentazione. “Ci sono grossi prelievi del tutto ingiustificati – ha detto Ouko – ai quali
io non posso dare ratifica”.
A titolo di esempio, Edward Ouko, ha citato un prelievo di circa un milione e 400 mila euro, sotto la voce “acquisto veicoli” non meglio identificati, spesa questa che, a giudizio dell’Auditor
General, sembra non solo esageratamente eccessiva, ma anche scarsamente attinente alle “attività diplomatiche” svolte dalla presidenza.
Cifre astronomiche per una nazione che conta oltre un terzo dell’intera popolazione sotto la soglia di povertà e che non sembra avere alcuna prospettive di miglioramento.
30 settembre 2018
KENYA SPENDACCIONE. DEBITO CON LA CINA DI 60 MILIARDI DI EURO CHE NON POTRÀ ONORARE
Non è una malevole previsione dei detrattori del governo Kenyatta, ma si tratta di una proiezione ufficiale del suo ministero del Tesoro che, nella bozza del Budget Review and Outlook Paper,
segnala una pericolosa tendenza della spesa pubblica il cui trend, valutato in ragione dei debiti già contratti e di quelli di prossima acquisizione, indica che al termine del mandato
presidenziale del 2022 (a termini costituzionali non più rinnovabile) lascerà al Paese un debito complessivo di oltre 60 miliardi di euro, cioè, più o meno lo stesso ammontare
del PIL, il Prodotto Interno Lordo dell’ex colonia britannica.
Questa colossale spesa risulta prodotta da una massiccia realizzazione di infrastrutture: strade, ferrovie, ponti, centrali elettriche, porti e varie altre installazioni, attuate attraverso la
sottoscrizione di ingenti debiti, soprattutto (ma non solo) con l’ormai onnipresente partner cinese. Tutte opere che hanno notevolmente contribuito a una modernizzazione del paese, ma che hanno
anche drammaticamente svuotato la cassa di Stato, impedendo altri necessari interventi in aree sensibili, come quelle del sistema scolastico, della sanità, delle case popolari, delle strade per
l’accesso alle zone più remote e di altre opere pubbliche essenziali per consentire alla popolazione meno abbiente, decorose condizioni di vita.
Una delle molte critiche rivolte al governo, per l’ingente indebitamento, proviene dal responsabile regionale della Stanbic Bank, Jibran Quereishi, che definisce irresponsabile “l’ambiziosa
frenesia alla spesa” da cui la classe politica al potere sembra essere soggiogata. Del resto i primi effetti di questo dissennato indebitamento, hanno già prodotto dolorose conseguenze
sull'economia interna: l’otto per cento di IVA è stato imposto sui prodotti petroliferi, cosa che presso le stazioni di servizio, causa l’aumento di altre tasse, si è trasformata in un secco
incremento del 16 per cento sui carburanti facendo così esplodere una catena di rincari in tutto il settore della distribuzione, prodotti alimentari inclusi.
Per far fronte a questo crescente e inarrestabile indebitamento, la ricerca del governo di altri prestiti si sta facendo frenetica, ma trova sempre più porte chiuse perché la fiducia nella
capacità di recupero del Paese appare poco credibile e si teme che il Kenya possa fare presto la fine dello Zambia, costretto a cedere i propri tesori all'astuto e falsamente “generoso” alleato
commerciale cinese. Su questa linea anche l’IMF (Fondo Monetario Internazionale) ha rifiutato di rinnovare al Kenya la concessione del credito di circa 900 milioni di euro, benché il locale
rappresentante della potente organizzazione finanziaria, Jan Mikkelsen, assicura che l’IMF continuerà ad assistere il Kenya nel realizzare le necessarie riforme fornendo “i più opportuni
consigli”, ma i consigli non sono titoli negoziabili di cui il Kenya ha disperatamente bisogno.
Peraltro, non tutto l’ammodernamento realizzato grazie al debito con Pechino, risulta gradito ai kenioti, come la miniera di carbone in fase di realizzazione a Lamu che riceve la ferma ostilità
degli abitanti, ma intanto, mentre davanti ai distributori di carburante del Paese si accodano chilometri di auto che tentano di fare il pieno prima dell’annunciato aumento, ecco la curiosa
definizione di un cittadino (certo Mike) apparsa su un social network: “L’ambizione dei nostri politici è simile a quella di una cortigiana fallita che sotto il ricco mantello di broccato,
indossa mutande sporche e stracciate”.
by Africa ExPress
23 novembre 2018
KENYA. 300 MILIONI DI DOLLARI BRUCIATI IN UN MESE PER RALLENTARE LA CADUTA DELLO SCELLINO
Da sempre il Kenya ha come moneta di riferimento il dollaro americano per verificare la salute della propria valuta, ma oggi questa verifica presenta risultati allarmanti. Lo scellino, che pareva
essersi consolidato al cambio di un dollaro per 100,9 scellini, il 15 novembre scorso è salito a 103,5 presentando un trend che, a detta degli analisti finanziari, fa ritenere che entro la fine
dell’anno in corso potrebbe superare la soglia dei 105. Ad aggravare questo andamento, c’è anche il giudizio del Fondo Monetario Internazionale (IMF), secondo cui lo scellino sarebbe
sopravvalutato di un buon 17,5 per cento rispetto al valore reale.
Oltre a dissanguarsi in questi continui interventi per sostenere la propria moneta, il Kenya assiste anche a una progressiva erosione delle riserve in valuta estera che in poco più di un mese
sono passate da 8,45 miliardi di dollari a 8,15 miliardi. Uno dei problemi, oltre all'insostenibile indebitamento con l’estero, è che il Paese non riesce a dare un significativo impulso alle
proprie esportazioni che presentano oggi un saldo negativo di oltre otto miliardi di dollari: Infatti nei primi nove mesi dell’anno in corso, il valore delle merci importate ammontava a 13
miliardi di dollari, mentre quelle esportate non superavano i 4,7 miliardi.
Nei confronti dello scellino e benché mantenga una certa debolezza verso il dollaro, cresce anche l’euro che il 20 novembre scorso, si attestava sul cambio di 117,17 scellini per un euro. È di
tutta evidenza che questa situazione non può risolversi con i continui interventi della Banca Centrale che, tra l’altro, hanno il peso di un granello di sabbia nel deserto, ma necessitano di
radicali interventi sulla strutture produttiva e finanziaria. Le procedure export, causa la corruzione e le complessità bizantine, sono tali da scoraggiare qualsiasi imprenditore che provi ad
avventurarvisi, mentre la supervalutazione dello scellino – non determinata da un reale riscontro economico, ma da fittizie determinazioni effettuate nel palazzo – mortifica fortemente l’export
soprattutto verso i Paesi confinanti.
Fatte queste considerazioni, verrebbe da domandarsi, perché il Kenya non decide di svalutare lo scellino, dando così un robusto impulso alle proprie esportazioni. La risposta è semplice: dato
l’alto indebitamento contratto dal governo verso l’estero, una svalutazione dello scellino farebbe spendere molto di più per acquistare la valuta estera necessaria a pagare le rate, visto che
nessuno dei creditori accetterebbe mai lo scellino quale moneta per il pagamento del dovuto. Quindi, si mantiene alto il valore dello scellino per non far aumentare il valore del debito, benché
questo sistema affligga la competitività dei prodotti da esportare. Insomma; è come svuotare una tasca dai soldi che contiene per metterli nell'altra.
Il giusto intervento per sanare questa perversa patologia, sarebbe stato quello di limitare il debito verso l’estero, come tutti gli organismi finanziari internazionali avevano caldamente
esortato a fare. Lo si poteva fare, semplicemente rinunciando – o quantomeno posticipando – la realizzazione dei progetti infrastrutturali più costosi e non di immediata necessità, ma il governo
si è pervicacemente mostrato sordo a questi appelli, cosa che legittima il sospetto che tali appalti siano serviti a portare acqua al mulino dei pochi privilegiati che hanno la fortuna di sedere
nel palazzo e poco si curano di chi vi è rimasto fuori.
by Africa ExPress
5 marzo 2019
LA CINA STRANGOLA IL KENYA
Con il nuovo prestito di 70 milioni di dollari, concordato nell'ultimo trimestre dello scorso anno, Pechino è diventata il più grande creditore del mondo nei confronti del Kenya, che vede il suo
debito complessivo con la Cina, salire dai precedenti 5,5 miliardi di dollari, contabilizzati nel settembre scorso, agli attuali 6,2 miliardi di dollari che fanno del Kenya il terzo Paese
africano, dopo Angola ed Etiopia, con il più alto indebitamento verso il gigante asiatico. Il debito globale del Paese africano, considerando tutti i creditori, domestici e stranieri, raggiunge
la strabiliante somma di 47 miliardi di dollari. Ciò vuol dire un debito pro-capite di 930 dollari (circa 100.000 scellini del Kenya) che ogni cittadino si trova sulle spalle alla nascita. Somma,
che non in pochi casi, rappresenta il salario di un anno.
Eppure, il Prodotto Interno Lordo (PIL) del Kenya ha avuto, nell'ultimo quarto di secolo, un incremento di tutto rispetto, passando dai 5 miliardi di dollari del 1993 agli attuali 80 miliardi di
dollari, ma chi ha visto i benefici di questo più che apprezzabile risultato? La povertà, soprattutto nelle zone rurali, è in costante crescita; l’assistenza sanitaria è al collasso; l’apparato
scolare è gravemente inadeguato; le infrastrutture, i trasporti e i servizi essenziali, sono – in larga parte del Paese – gli stessi di un secolo fa e sul tutto divampa una sempre più agguerrita
e invincibile corruzione.
Quest’ultimo debito contratto con la Cina ha provocato la furiosa reazione di molti cittadini che hanno sfogato la loro rabbia sui social. “Nulla è stato fatto e nulla sarà mai fatto in
futuro – protesta Ibra Ibrahim – non aspettatevi altro che furti, menzogne e ancora menzogne”. “Ecco un altro prestito – è l’amaro commento di Oyoya Johanes – perché i
nostri leader possono continuare a rubare”. “Perché, prima di contrarre un nuovo debito – si chiede Moses Kamwigu – il governo non ci spiega come ha utilizzato i soldi ricevuti
in precedenza?”. Peter Ndirawood è ancora più pessimista: “È terribile! Passo dopo passo diverremo tutti schiavi della Cina”.
Si tratta di commenti accesi, ma che è arduo definire infondati. Più volte, la Banca Mondiale e altri Paesi donatori, hanno sospeso gli aiuti al Kenya, perché il suo governo, pur continuando a
chiedere prestiti, non era in grado di spiegare come aveva utilizzato quelli ottenuti in precedenza. “Riprenderemo gli aiuti – ha più volte riferito la Banca Mondiale – quando il
governo del Kenya ci spiegherà perché non ha realizzato le opere per cui i precedenti prestiti erano stati erogati”. Una forma diplomatica per far capire che, quei soldi, erano spariti nella
voragine della corruzione.
Alla reazione diffusamente negativa che ha fatto seguito all'ultimo prestito cinese, si aggiunge il fondato sospetto, che il Kenya abbia richiesto questo finanziamento, per riuscire a pagare le
rate di quelli ricevuti in precedenza, impedendo così azioni coercitive da parte del creditore asiatico che aveva già messo i suoi occhi rapaci sul porto di Mombasa. Il Kenya si trova così
esposto alla classica strategia dell’usuraio, che continua a finanziare la propria vittima, fino a che questa – strangolata dall'enormità del debito e impossibilitata a onorarlo – cede al
creditore, in tutto o in gran parte, il suo patrimonio. Difficile avere dubbi che questa non sia la strategia di Pechino, perché è già stata attuata più volte con successo e non solo in
Africa.
by Africa ExPress
Malindi, colonia della criminalità.
Stando al ritratto impietoso della città sopra citata redatto nel 2005 dall'ambasciatore americano William Bellamy, finito nel tritacarne di Wikileaks, gli italiani hanno trasformato Malindi in un pezzo di Italia traslocandovi i propri "vizi": sfruttamento e criminalità organizzata.
Il rapporto choc di Bellamy citava le denunce di corruzione nei confronti della polizia locale sporte dall'allora console italiano, ma non era affatto indulgente nei confronti degli italiani. Secondo il diplomatico, la comunità italiana ha escluso i giovani africani dalle attività lavorative, con il risultato di spingerli verso il traffico di droga e altre attività illegali. Peggio ancora, Bellamy specificava che anche il malaffare era in realtà governato dagli italiani. E che «le autorità locali approfittano del nuovo business per partecipare all'attività di estorsione a danno dei turisti».
Bellamy riportava il caso di un mafioso milanese, giunto a Malindi per rifarsi una vita dopo una condanna in Italia. E citava anche altri latitanti europei che avevano trovato l'impunità nella Ibiza del Kenya, come viene chiamata la cittadina. L'italiano era di gran lunga il maggiore narcotrafficante della zona: in una delle sue residenze erano stati trovati 700 chili di cocaina e altri 300 erano stati scoperti in un container imbarcato a Nairobi.
L'esplosione del business della droga in Kenya, secondo l'ambasciatore e molti analisti, ha infatti contribuito ad aumentare le frizioni religiose, mescolando gli affari economici con le divisioni sociali e religiose. "Tutti concordano sul fatto che le tensioni tra la comunità keniota e gli italiani stanno diventando tensioni tra musulmani e cristiani", rifletteva Bellamy nel 2005. Gli integralisti, già allora, facevano proseliti fuori dalle moschee, nei sobborghi abitati dai giovani disoccupati. Le bande di musulmani e cristiani si fronteggiavano ai lati delle strade, e i cristiani venivano sempre più identificati come gli uomini bianchi associati ai nuovi problemi del Paese. Sette anni dopo, le tensioni tra musulmani e cristiani si sono tradotte in attentati e stragi. I casi non certo isolati di commando, composti da gruppi di cani sciolti incappucciati, che assaltano le case dei turisti impugnando il machete, sono insomma solo una minima parte del problema che gli italiani hanno contribuito a creare.
Vedi anche: Malindi di male in peggio!
Vedi anche: Latitanza nella Ibiza del Kenya
Vedi i seguenti Blog:
GLI AFRICANI E LA BIBBIA
«Già nell'ambiente colonialista era in voga l'abitudine di gettare in mare la Bibbia non appena attraversato il canale di Suez. Pure i missionari, affascinati dal "Continente Nero", non gettavano in mare la Bibbia, ma solo la tonaca.»
«Quando i missionari giunsero, noi africani avevamo la terra e i missionari la Bibbia. Essi ci dissero di pregare ad occhi chiusi. Quando li aprimmo, loro avevano la terra e noi la Bibbia.»